Cultura e Spettacoli

Vittorio Sgarbi: "Dieci idee per liberare i beni culturali"

Rispetto delle autonomie locali, centralità degli esperti ma anche dei "media": così si valorizza il patrimonio artistico. Il rapporto tra Stato e privati nella tutela di opere, musei e paesaggio

Vittorio Sgarbi: "Dieci idee per liberare i beni culturali"

Dopo il manifesto del Sole 24Ore su economia e cultura, l’altroieri è arrivato anche quello più ideologico degli scrittori «TQ», supportato dallo storico dell’arte Salvatore Settis. Ieri Luca Nannipieri, sul Giornale, ha duramente contestato l’approccio dei «TQ», giudicandolo antiquato e statalistico. Oggi Vittorio Sgarbi propone un contromanifesto per la salvaguardia e la valorizzazione dei Beni culturali, rispondendo punto per punto ai «TQ» e ribaltandone i contenuti. La trasmissione Tutta la città ne parla, condotta da Giorgio Zanchini e in onda su Rai Radio3 dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 10.45, lunedì prossimo dedica una puntata al dibattito. Tra gli ospiti anche il nostro Luca Nannipieri.

Dilagano i «manifesti», anche generazionali, anche giovanili. Noi cominciamo a essere vecchi e, divisi tra buoni e cattivi, possiamo essere chiamati ormai come patroni. In mille circostan­ze e in mille battaglie siamo stati dalla stessa parte con Salvatore Settis e siamo diversamente ama­ti dalla madre priora del patrimo­nio culturale, Giulia Maria Cre­spi, presidente onorario del Fai; eppure, e non me ne dispiace, Set­tis è fra i buoni e io fra i cattivi. Differenze di vita, forse. Partimmo quasi insieme, nel 1978, con Gior­gione: lui con la Tempesta inter­pretata , io con una mostra di di­pinti del primo Cinquecento, per la prima volta restaurati con l’ausi­lio della tecnologia (radiografia e riflettografia) applicata alle opere d’arte da quel Maurizio Seracini (anche lui allora molto giovane), oggi impegnato a ritrovare Leo­nardo a Palazzo Vecchio, con grande disappunto di Settis e mia, più accondiscendente, attenzio­ne. Settis benedice invece il grup­po TQ ( scrittori trenta-quaranten­ni) che propone il «decalogo» per evitare il marketing culturale. Mo­desto obiettivo per la incertezza dell’azione e dei risultati,ma l’en­nesima occasione per raccogliere firme. Prima contro Mario Resca, nominato Direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale presso il Ministero dei Beni culturali, poi contro Bondi, responsabile unico dei crolli di Pompei. E ancora firme per il ma­nifesto del Sole 24 Ore sul nesso economia-cultura; e, questa vol­ta, firme per ribaltare in senso au­­toritario e statalistico, la tendenza che ha esteso la tutela e la gestione del patrimonio artistico ai privati. Molti errori ma anche molte ini­ziative sacrosante. E, in premes­sa, andrà ricordato, in proposito, ai militanti e ai firmatari del deca­logo e, forse, allo stesso Settis, che il Fai (con la sua altissima missio­ne di tutela del patrimonio) è una associazione privata, che ottiene beni dai privati e che cerca soldi dai privati. Con ciò perde sostan­za e verità, in tutta evidenza, già il secondo articolo del decalogo. Sul primo nessun dubbio. Anche con le chiose di Settis che denun­cia le «sciocchezze sui “beni cultu­rali” come “petrolio d’Italia”, da “sfruttare” fino a esaurirlo come fosse un combustibile». Benissimo. Nell’articolo primo,recepen­do le sollecitazioni del Sole 24 Ore e riconoscendo il primato dello Stato, dovrebbe essere indicata non una negazione per corregge­re un equivoco, ma una afferma­zione, come un richiamo fondan­te, costituzionale. Dunque, Arti­colo 1. Premessa: lo Stato non è ciò che lo Stato possiede, non è il patrimonio che appartiene allo Stato, alle Provincie, ai Comuni e inevitabilmente ai privati. Ma: Sta­to è la coscienza del Bene. Dai diversi soggetti proprietari condivi­sa.

E anche da molti virtuosi priva­ti. Come considerare altrimenti, per ricordare alcuni casi, la Colle­zione Crespi e la Collezione Saibe­ne?

Articolo 2. Riproduce l’articolo 9 della Costituzione: «La Repub­blica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tec­nica. Tutela il paesaggio e il patri­monio storico e artistico della Nazione». Nulla da aggiungere.

Articolo 3. Nessun dubbio che il sistema di tutela debba restare sta­tale e non regionalizzato, ma,nel­l’ordine di una considerazione dei beni pubblici come coscienza del loro valore spirituale, l’amministrazione statale deve coordina­re e non reprimere o sostituire le amministrazioni locali, nel comu­ne è condiviso interesse per i beni.

Il direttore di museo civico ha gli stessi titoli e le stesse competenze (talvolta più approfondite e spes­so maturate nelle stesse scuole) dei funzionari statali, i quali difen­dono non sempre competenze ma rendite di posizione. Ricorde­rà Settis (non pretendo i trenta­quarantenni) gloriosi direttori di musei civici come Licisco Maga­gnato e Bruno Passamani e, oggi, Giuliana Ericani ed Elisa Avagni­na, già mie colleghe in Soprinten­denza, o Gabriella Belli. A Roma condivisero la competenza ar­cheologiche, per anni, in armo­nia, Adriano la Regina (funziona­rio statale) ed Eugenio la Rocca (funzionario comunale), entram­bi soprintendenti. Soltanto una fa­natica astrazione può vederli in contrapposizione, stabilendo sul­la carta il primato di uno Stato che non dialoga e non condivide op­portunità e decisioni relative ai be­ni pubblici regionali e comunali. Comunque, articolazioni dello Stato.

Il dogma dell’Articolo 3 deve ri­vendic­are il primato della responsabilità civica, civile (e persino po­l­itica), non della burocrazia, dello Stato. In ogni caso la «coscienza del bene» impone che lo Stato, a fronte di tanti scellerati lavori pub­blici e mortificazione del patrimo­nio monumentale, artistico e paesaggistico, istituisca un nuovo mi­nistero denominato «Ministero del Tesoro dei Beni culturali». Con competenze anche sui lavori pubblici, mentre il turismo do­vrebbe andare in capo al ministe­ro dello sviluppo economico.

Articolo 4. È vero che il patrimo­nio è proprietà di ogni cittadino, quando ne sia cosciente del valo­re. Insensato e falso dire, con altra e forzata contrapposizione mani­chea, che sia «laico», perché il pa­trimonio culturale italiano è non soltanto cristiano per tradizione, per religione e civiltà, ma è in lar­ghissima misura custodito, se non amministrato, da preti, che vanno ammirati per avere tenuto insieme i valori estetici e quelli spi­rituali e, con ciò, l’aura delle ope­re d’arte con la conservazione del­le funzioni originali, nella liturgia (soprattutto quando abbiano resi­stito all’adeguamento alle norme conciliari - vedi lo scempio, che Settis ben conosce, - della catte­drale di Pisa). Pensiamo a quali stravolgimenti abbiano patito edi­fici civili («laici» per l’appunto) e trasformati in uffici pubblici, con insopportabili mortificazioni. La «laicità» del patrimonio artistico è una assurdità programmatica e ideologica. Gran parte del nostro patrimonio è religioso e, fortuna­tamente, a religiosi affidato. Laica è la tutela.

Articolo 5. È pleonastico; anche se è bene ricordare che i valori estetici non sono misurabili con le maggioranze. Un’opera d’arte può essere assoluta e universale anche se conosciuta e compresa da uno solo.

Articolo 6. Condivisibile ma marginale. Talvolta esporre una sola opera può essere almeno istruttivo. Ma le mostre vano fatte se consentono un avanzamento della conoscenza.

Articolo 7. Lapalissiano ma con­traddetto da burocrazie, idolatria delle regole, sopravvalutazione dei titoli «acquisiti» rispetto ai meriti riconosciuti.

Articolo 8. I buoni corsi, come le buone riforme dell’istruzione,di­pendono da una sola cosa: un buon insegnante. Un bravo pro­fessore è il miglior corso ed è me­glio di qualunque riforma.

Articolo 9. Una strana incursio­ne nell’odiato «marketing» cultu­rale per dare un po’ di lustro a stu­diosi umbratili rispetto a stronzi come Sgarbi e Daverio. Non mi sembra un articolo fondamenta­le.

Articolo 10. Indiscutibile, ma con la stessa fattispecie dell’Arti­c­olo 8 e ampliando la responsabi­lità e l’impegno, nazionale e regio­nale, della televisione di Stato. In­segnare chi siamo vuol dire rende­re tutti consapevoli della vastità e della capillarità del nostro patrimonio artistico ( ma anche lettera­rio e musicale).

Stabiliti in altrettanti articoli questi principi emendati, non c’è bisogno di raccogliere firme. Co­me nessuna firma vi è sotto i dieci comandamenti.

Post scriptum: su questa mate­ria, un po’ infastidito dall’atteggiamento, peraltro non offensivo, di un trentaquarantenne, Christian Raimo, in dibattito con me nello spazio di approfondimento su Sky Tg 24, condotto da Paola Salluzzi, ho reagito in modi forse troppo risentiti. Me ne dispiace.

Ma adesso le differenze, e le posi­zioni di buoni e cattivi, saranno più chiare.

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