Cultura e Spettacoli

La voglia di spiare la casta pornografia di Gombrowicz

Ronconi adatta il romanzo capolavoro dello scrittore polacco. In cui il vero scandalo è la giovinezza perduta

La voglia di spiare la casta pornografia di Gombrowicz

Spettacolo assolutamente da vedere sugli aspetti spettacolari del guardare, Pornografia di Witold Gombrowicz (1904-69), riletto oggi, è la nemesi della scrittura letteraria, violenta e cerebrale, sulla società dell'esibizionismo, sessuofobica e analfabeta. Dimostrazione che le vette dell'erotismo e gli abissi della perversione sono tutti mentali, «parlati» e sentimentali più che fisici, «agiti» e sessuali, Pornografia è un testo, alto, che ci rivela impietosamente quanto siamo caduti in basso, grufolando fra escort, baby squillo e Pinsex.

Ecco perché all'epoca di Youporn è più eccitante andare a vedere Pornografia di Gombrowicz, messo in scena al Teatro Grassi di Milano da Luca Ronconi. L'altroieri sera, la «prima» dello spettacolo ha risvegliato sensi e sentimenti dell'intellighenzia milanese, che ha partecipato all'evento teatrale della stagione con tutta la bellezza compromettente dell'immaturità. Artisti, scrittori, banchieri. Come i personaggi in scena è difficile distinguere fra purezza e indecenza. Cosa merita di andare in-scena e cos'è osceno?

E fra purezza, indecenza, lordure e sensualità, Pornografia, romanzo scritto da Gombrowicz, nel 1960, e riletto per il teatro da Ronconi, nel 2014, è un lungo viaggio (tre ore e dieci minuti di spettacolo, con intervallo, fra valige, treni, calessi e arredi di scena che entrano e escono scorrendo su sferraglianti binari) dentro, attorno e sul Sesso, declinato in tutte le categorie di Youporn. Ma senza un nudo, appena un seno, e perciò ancora più indecente e scandaloso. Dentro il cosmo di Pornografia c'è il voyeurismo: perché i due protagonisti, con tendenze omosessuali, spiano due giovani. C'è il lolitismo: perché i due giovani sono minorenni, ma non così innocenti. C'è l'amateur: perché nessuno appare un performer del sesso, ma un amante superficiale e quotidiano. C'è il fantasy: perché tutti sognano qualcosa che non hanno né avranno mai. C'è l'esibizionismo: perché a tutti loro piace mettersi a nudo, e farsi guardare. C'è la milf, perché la madre della giovane è piacente e vogliosa, per quanto repressa da una religiosità oscura. C'è persino qualcosa di bizzare, per via di una morbosa attrazione per i corpi morti, che alla fine saranno quattro...

All'inizio, invece, ci sono due uomini in su con l'età e in giù con la libido, ospiti in una casa di campagna durante l'occupazione nazista della Polonia, nel '43, quando Gombrowicz, polacco, viveva in Argentina.

Qui dentro non c'è Blut und Boden, ma carne e sangue.

E quella dei due signori - uno è Witold (!), alias Riccardo Bini, l'altro è Federico, alias Paolo Pierobon, entrambi bravissimi, perfetti sul palco - è un'invasione nella vita e un attacco alla virtù di due ragazzi che incontrano nella grande casa: la figlia dei padroni (già fidanzata) e un garzone al loro servizio. I due giovani avrebbero l'età, i corpi e le voglie per desiderarsi reciprocamente, eppure sono indifferenti una all'altro. E così Witold e Federico, vogliosi, voyeuristi, troppo (im)maturi, annoiati soprattutto, e criminali, su un palco bronzeo, quasi vuoto, spesso buio, quadro dopo quadro (loro che spiano i ragazzi nel giardino come Susanna e i vecchioni del Tintoretto, la madre del fidanzato, nuda e scarmigliata come la Danae di Klimt...), faranno di tutto, troppo, fino al delitto, pur di vederli congiungersi.

E il pubblico guarda due guardoni che guardano due giovani che invece non si guardano...

E in sala, a guardare, tra il pubblico, in un teatro attentissimo e strapieno, c'è tutto il côté attoriale del Piccolo, c'è Anna Nogaro, c'è Anna Maria Guarnieri, c'è Ottavia Piccolo, c'è anche Roberto Calasso, e l'architetto Vittorio Gregotti, c'è l'artista digital-pop Max Papeschi, c'è Piero Gelli... C'è, in fila 10, al centro, Rita Gombrowicz, la vedova dello scrittore polacco: si conobbero nel '64, lei era una studentessa di 29 anni, che oggi ne ha quasi 80, fece in tempo a vivere appena cinque anni accanto a Witold, e tutti gli altri li ha passati a rimettere a posto i suoi scritti e tramandarne la memoria. Seduta accanto al direttore del Piccolo Teatro, Sergio Escobar, e a Francesco Cataluccio, che è il curatore per Feltrinelli di tutte le opere di Gombrowicz, a fine spettacolo Rita Labrosse in Gombrowicz farà molti complimenti al regista.

Intanto, all'intervallo, nel cortile del Piccolo c'è chi cita i diari di Gombrowicz - il famoso incipit: Lunedì: Io. Martedì: Io. Mercoledì: Io... «Ma più che egocentrismo, è indice di disperazione...» - e chi ha dubbi sulla messa in scena, subito zittito: «Ma la forza del testo supera qualsiasi debolezza di interpretazione».

Si riprende, fra passaggi continui tra l'Io e la terza persona, fra infrazioni alle innaturali regole dell'attrazione, fra ossessioni religiose, sessuali e etiche: «Quella ragazza riusciva ad eccitarmi anche nella sua virtù». Tutti a seguire le linee di tensione... le linee del desiderio, tutti a giudicare tutto (a proposito, facile fare i moralisti seduti comodamente in poltrona. Sapremmo esserlo con una diciassettenne in perizoma nel letto?). E quando si eccede un certo livello di desiderio, tutto alla fine diventa pornografia.

Anche se alla fine - poco prima degli applausi, che saranno tanti - si comprende che il rimpianto più grande non è per il Dio in cui non si è creduto, e neppure per il sesso che ci si è negati. Ma per la giovinezza che si è perduta, e non si potrà riavere. Ecco il vero scandalo: la vecchiaia. Quella sì oscena, e pornografica. Se non c'è l'arte a riscattarla.

Sarà per quello che quando Luca Ronconi, 81 anni, sale sul palco a prendersi il trionfo, casual e in scarpe da ginnastica, a tutti appare giovanissimo.

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