Controcultura

Dürrenmatt scatena la terza guerra mondiale

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Dürrenmatt scatena la terza guerra mondiale

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Davide Brullo

Il cuore concettuale è a pagina 103. «L'uomo può esistere solo come animale da preda». Da lì sboccia il registro allucinato della «terza guerra mondiale», meglio nota come «guerra invernale nel Tibet», che si combatte «ad altitudini fantastiche, su ghiacciai, morene, dirupi» e «in un labirinto di bunker e trincee» scavate alle pendici dell'Himalaya con idiota dedizione. I soldati, «amici e nemici, indossano la stessa uniforme bianca»: sono sopravvissuti e mercenari, ex colonnelli e sbandati, guru e drogati, ridotti laggiù a combattere la guerra definitiva. Più che una guerra, in realtà, in un'era obliqua in cui «la politica (...) si fece sempre più cinica, e infine non fu nient'altro che il culto, o l'occulto, di una Chiesa morta», è una specie di virale tutti-contro-tutti, un grottesco macello della specie umana («era come se un'intera nazione si suicidasse»). I cadaveri sgorgano a fiotti, come in un videogame, i mercenari «compiono atti eroici, assurdi e disumani» e le femmine «superano in audacia i maschi». Sintesi catatonica: «Si ammazza e si fotte a tutto spiano, sangue, sperma, viscere, liquido amniotico, embrioni, vomito, neonati urlanti, cervelli, occhi, placente scorrono giù per i maestosi ghiacciai».

Friedrich Dürrenmatt, l'autore della Promessa, pubblica nel 1981 questa grandguignolesca fine del mondo - il testo, ritradotto da Donata Berra per Adelphi, è accolto anche nell'edizione dei Racconti griffata Feltrinelli - che ha come ispirazioni estreme i quadri di Hieronymus Bosch, la grande narrativa di genere - Richard Matheson e J. G. Ballard - ma soprattutto gli annali bizantini di un millennio fa, quando la tortura era un'arte calligrafica. Con candida perizia, a esempio, lo scrittore intaglia la storia del «vecchissimo feldmaresciallo cieco, il quale dalle viscere dell'imponente K2 combatterebbe una sorta di guerra contro se stesso, perché corrotto da entrambe le potenze belligeranti». Negando ogni facile morale, Dürrenmatt architetta una micidiale metafora della scrittura. Il mercenario che narra la storia incide le sue memorie sulle pareti delle grotte, infinite come un incubo borgesiano. Scrive per gli alieni, che sbarcheranno sulla Terra, forse, tra «innumerevoli miliardi di anni». «Le mie iscrizioni saranno allora l'unica conoscenza che avranno del genere umano».

Ecco, questa è l'unica prospettiva plausibile per la letteratura, ieri come oggi.

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