Cronaca locale

Dai fregi ai monumenti la storia di Milano è piastrellata di cotto

Giuseppe Garibaldi e la terracotta: un binomio molto comune a Milano. L'effigie del condottiero e la materia rossiccia sembrano fatti l'uno per l'altra perché gli architetti del secolo Diciannovesimo, ispirati dall'Unità d'Italia che si era appena compiuta, vollero promuovere l’uso della terraglia, antica tradizione lombarda, a simbolo della liberazione dal tallone austriaco. Tanto che il suo utilizzo a Milano si sprecherà per tutta la metà dell'Ottocento, lasciandoci suggestioni ben visibili. Basta mettere da parte per un attimo la fretta e i pensieri, fermarsi e alzare lo sguardo: facciate di chiese, scuole, teatri, palazzi sono lì apposta per essere ammirati.
Del resto il cotto è un materiale caldo e malleabile. Uno dei pochi - dicono gli architetti - che riesce a convivere col grigiore della pietra. Come i piccoli medaglioni che sporgono da un edificio in via Fiori Chiari al civico 8. Racchiudono tre ritratti celebrativi tra cui un immancabile busto di Garibaldi. L'eroe dei due Mondi è effigiato anche sulla facciata di un palazzo di abitazione in viale Montenero, angolo via Anfossi 5, insieme a Mazzini, Cavour, Vittorio Emanule II e altri artefici del Risorgimento. Ma c'è un Garibaldi in terracotta rappresentato anche a figura intera insieme alla moglie, Ana Maria de Jesus Ribeiro, più nota come Anita. Sono le due statue eseguite da Andrea Boni tra il 1858 e il 1859 visibili nelle nicchie centrali della facciata del Teatro Fossati.
Garibaldi a parte, fregi, medaglioni, colonnati, rosoni, abbellimenti in terracotta si rincorrono su moltissimi palazzi, scuole e chiese. Impossibile un elenco completo. Però l'utilizzo forse più singolare della terraglia nell'edilizia privata, si può vedere sulle facciate di Casa Candiani, in via Bandello 18-20. L'edificio fu l'abitazione di una famiglia proprietaria di fornaci che usò il palazzo come campionario per mostrare tutte le varietà e le possibilità estetiche del cotto: uno spettacolo davvero suggestivo affidato nel 1885 all'architetto eclettico Luigi Broggi. A segnare i luoghi manzoniani ci sono invece i ritratti di Palazzo Luraschi, in corso Buenos Aires 1, angolo piazza Oberdan, vicino al lazzaretto. L'edificio risale al 1887 e fu uno dei primi in Italia a essere costruito in cemento armato. Sopra gli archi, nel piccolo cortile interno, spiccano 12 medaglioni in cotto raffiguranti i personaggi più noti de I Promessi Sposi. Anche alcune case di ringhiera furono abbellite con la «pasta porosa». Come la facciata di un palazzo in via Bramante 39 che risale al 1860. Qui campeggiano lesene floreali, figure femminili, putti, delfini e molti altri ghiribizzi scaturiti dalla fantasia dello scultore Tommaso Airaghi: una nota di allegria nel grigiore circostante. E quanto la terraglia sia in grado di alleggerire l'atmosfera di interi rioni, è ben visibile anche in via Eustachi, un'area di palazzi grigi e severi, dove le finestre incorniciate in cotto dell'abitazione del civico 49, smorzano per incanto l'austerità circostante.
Terracotta a volontà anche nelle scuole a partire dall'università Statale, l'ex ospedale maggiore Ca' Granda, voluto da Francesco Sforza alla fine del Quattrocento, dove i portici dell'ala destra hanno archi con ricche sottolineature in cotto. L'istituto Manzoni in via Orazio ha terracotta attorno alle finestre; così anche la scuola secondaria Teresa Confalonieri in via Vittadini 10, costruita nel 1907, e l'ottocentesco edificio scolastico di via Tadino angolo Castaldi, dove la terracotta «maschera» anche i rosoni di ventilazione e corre orizzontale lungo i due piani dell'edificio.
Non si sottraggono a questa suggestione nemmeno i musei.

Quello di Storia Naturale, in corso Venezia 55, è il più ricco di fregi in terracotta: l'architetto Giovanni Ceruti, entusiasta di dover costruire uno dei primi edifici con funzioni proprie di museo scientifico, si sbizzarrì disseminando di «pasta porosa» le molte decorazioni, le fasce che delimitano i piani, i contorni delle finestre e molto altro.

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