Politica

Democrazia corrotta

Nel corretto funzionamento di una democrazia bipolare un principio non dovrebbe subire deroghe: alla maggioranza l'onere di avanzare proposte, all'opposizione il compito di contestarle e, qualora lo ritenga, di contrapporre delle sue proposte alternative. La chiarezza di tale procedura dovrebbe poi consentire agli elettori di valutare l'effettiva portata dei conflitti e, a tempo debito, di fare le proprie scelte.
Non si pretende che questo procedimento - tanto elementare quanto essenziale - sia posto in atto sempre e comunque. L'attuale maggioranza di sinistra, però, non si sta limitando a qualche deroga. Lo sta stravolgendo. E alla contrapposizione tra proposte effettive sta sostituendo un conflitto solo virtuale che non consente più di cogliere gli effettivi interessi in competizione. Ciò avviene attraverso alcune pratiche rituali che, con il ricorso a qualche esempio, possono essere così schematizzate:
Politica del rinvio. Consiste nel promettere un provvedimento senza mai arrivare a formalizzare una proposta precisa, quasi sempre per la difficoltà di trovare l'accordo all'interno della coalizione di governo. Un esempio basta a chiarire di cosa si sta parlando: quello della «legge sui Pacs». Ogni giorno si leggono le novità, persino intime, relative alla coppia di fatto Bindi-Pollastrini; in qualche caso si hanno persino notizie di un triangolo con Prodi. Ma non è dato, invece, avere nozioni precise di un testo ufficiale al quale far riferimento e con il quale confrontarsi.
Politica dell'annunzio. Si fonda sulla comunicazione di scelte che i fatti si incaricano di smentire subito dopo. Tra i tanti specialisti del campo, il ministro della Funzione Pubblica Luigi Nicolais spicca su tutti. A suo tempo annunciò in commissione che non avrebbe cambiato i vertici dell'Agenzia che controlla i contratti pubblici senza previa consultazione dell'opposizione. Lo ha fatto alla chetichella, l'ultimo giorno utile. Ha poi assicurato che non avrebbe riformato, se non dopo confronto parlamentare, la Scuola che forma i nostri pubblici funzionari. Lo ha fatto attraverso il maxi-emendamento alla Finanziaria, che impedisce al Parlamento di esprimere qual si voglia dissenso. Ha pubblicamente dichiarato che avrebbe applicato la mobilità nel Pubblico Impiego. Ma è bastato un aggrottar di ciglia del sindacato per fargli smentire, il giorno dopo, la dichiarazione.
Politica della dissimulazione. È di chi assume delle scelte politiche ma non ha il coraggio di sostenerle pubblicamente e, per questo, si comporta come coloro che nascondono la sporcizia sotto il tappeto. Anche in questo caso Nicolais ci viene in aiuto. Ha nominato il nuovo vertice dell'Aran lottizzandolo con il sindacato. Non vi è stato, però, nessun annunzio ufficiale e neppure un comunicato stampa al termine del Consiglio dei ministri. Cosicché una scelta di grande rilevanza politica che, di fatto, ha affidato a dei sindacalisti il compito di controllare il sindacato, è stata degradata a mera pratica burocratica indegna persino di aspirare a un trafiletto in cronaca.
Politica dell'irresponsabilità. Consiste nel non voler trarre tutte le conseguenze logiche dalle proprie scelte. Per esemplificare, è quella che sulla vicenda della base di Vicenza ha portato in Senato la maggioranza a votare contro l'operato del proprio governo. La circostanza aiuta a comprendere perché ambasciatori di Paesi alleati, avendo a che fare con la politica estera la quale per sua natura non consente funambolici aggiustamenti, abbiano avvertito il bisogno di scrivere direttamente al popolo italiano non potendo ricevere alcuna certezza dal governo in carica.
Le conseguenze che queste pratiche stanno comportando sulla qualità del gioco politico sono sotto gli occhi di tutti. Nell'ambito della maggioranza, sospingono il compromesso oltre un limite fisiologico, rendendo infine le soluzioni adottate incomprensibili. Nel rapporto tra maggioranza e opposizione, alla legittima ricerca dei punti di debolezza dell'avversario si sta sostituendo la pratica del ricatto e dell'intimidazione. In tal senso, risulta assolutamente istruttivo il modo di procedere assunto dal governo in tema di riforma della legge elettorale: è consistito nel ricercare i modi per porre una componente dell'opposizione contro l'altra. In seno alla stessa opposizione, infine, la mancanza di obbiettivi polemici chiari spinge a una ideologizzazione delle posizioni, che porta a perdere di vista la portata empirica dei fenomeni.
Si può comprendere che tutto ciò serva a Prodi per prolungare la propria agonia. Ma il prezzo che il Paese paga è sempre più alto.

Perché ogni giorno che passa si corrompe un po' di più la fibra morale della nostra democrazia.

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