Cultura e Spettacoli

Demoni americani e ossessioni private

Una sorprendente storia da «La sveglia», auto-antologia dell'autore del «Grande Gatsby» Il rapporto malato fra un uomo perbene e il killer che ha sterminato la sua famiglia

Demoni americani e ossessioni private

I l 3 giugno del 1895, su una strada di campagna nei pressi di Stillwater, in Minnesota, la signora Crenshaw Engels e il figlio di sette anni, Mark, furono sorpresi e uccisi da un pazzo criminale, una specie di demone, in circostanze così atroci che, per fortuna, non è necessario riportare qui.

Crenshaw Engels, il marito e padre, era un fotografo di Stillwater. Era un grande lettore e considerato «turbolento», solo per il fatto che si fosse espresso apertamente sulle lotte tra ferrovie e contadini del tempo. Ma nessuno negava che fosse un uomo devoto alla famiglia e la catastrofe che si era abbattuta su di lui rimase nelle teste e sulle bocche di tutti in città per parecchie settimane.

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Agli occhi dei vicini di casa era diventato un uomo rovinato dalle avversità, un fallito, un uomo svuotato. Ma riguardo a quest'ultimo punto, i vicini si sbagliavano. Egli era svuotato di tutto a parte una cosa. La sua memoria era forte, come quella di un vecchio, e sebbene avesse il cuore già nella tomba, la testa era rimasta la stessa di quando quella mattina d'estate la moglie e il figlio erano usciti per la loro ultima passeggiata. Durante il processo preliminare, aveva perso il controllo: si era scaraventato contro quel demone, afferrandolo per la cravatta e lo stava quasi per soffocare prima di essere trascinato via. Al secondo processo Crenshaw a un certo punto si era messo a gridare. Poi si era rivolto a tutti i membri della legislatura statale della contea e consegnato loro un disegno di legge che egli stesso aveva scritto per l'introduzione della pena di morte nello stato; il disegno di legge sarebbe stato retroattivo per i criminali già condannati all'ergastolo. Il disegno di legge non passò. Fu il giorno in cui ricevette tale notizia, che Crenshaw riuscì a entrare nel penitenziario con uno stratagemma e fu fermato giusto in tempo prima che si mettesse a sparare a quel Demone nella propria cella. Crenshaw venne liberato con la condizionale e per alcuni mesi si pensò che la furia della sua mente si stesse lentamente spegnendo. Infatti, quando si presentò al direttore in altro ruolo, un anno dopo il delitto, l'ufficiale si fece convincere dalla dichiarazione di Crenshaw che durante quell'ultimo anno era cambiato e sarebbe potuto emergere da quella valle di ombre solo con il perdono. Gli disse che voleva aiutare quel «demone», mostrargli il Vero Sentiero attraverso libri giusti e appelli alla parte migliore della natura di quel criminale che ora giaceva sepolta. Così, dopo essere stato accuratamente visitato, a Crenshaw fu permesso di sedersi per mezz'ora nel corridoio fuori dalla cella del Demone.

Ma se il direttore avesse sospettato la verità, non avrebbe mai permesso quella visita. Perché il piano di Crenshaw era ben lontano dal perdono. Quando si trovò di fronte quell'essere malvagio, Crenshaw sentì formicolare tutta la testa. Dietro le sbarre c'era un uomo pasciuto, che in qualche modo faceva sembrare la propria uniforme da carcerato un abito d'affari; un uomo con gli occhiali spessi e l'aspetto ordinato di un venditore di assicurazioni che lo guardava con aria incerta. Sentendosi svenire, Crenshaw si sedette sulla sedia che gli era stata portata.

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Per iniziare Crenshaw aveva portato una mezza dozzina di libri che la sua curiosità aveva raccolto nel corso di parecchi anni. Comprendevano un migliaio di casi di anormalità sessuale descritti da un dottore tedesco, casi per cui non esistevano cure o speranze o prognosi, casi definiti irrisolvibili; una serie di sermoni di una Chiesa del Risveglio del New England che immaginavano le torture dei dannati all'inferno; una raccolta di storie d'orrore; un volume di racconti erotici da ciascuno dei quali le ultime due pagine, contenenti le scene in cui l'amore veniva consumato, erano state strappate; un volume di racconti gialli anche loro mutilati nello stesso modo. Un tomo su cui erano segnate le più celebri esecuzioni capitali completava il lotto. Crenshaw fece passare i libri attraverso le sbarre. Il Demone li prese e li mise sulla branda di ferro.

Questa fu la prima di una lunga serie di visite quindicinali da parte di Crenshaw. Aveva sempre con sé qualcosa di cupo e minaccioso da riferire, qualcosa di oscuro e terribile da leggere, salvo una volta, quando, dato che il Demone non aveva avuto niente da leggere per lungo tempo, gli portò quattro libri con titoli interessanti, ma dentro contenevano soltanto pagine bianche. Un'altra volta, fingendo di cedere un po', gli promise che gli avrebbe portato dei giornali, ma gli portò solo dieci copie del giornale ingiallito che denunciava il suo reato e l'arresto. A volte riusciva a recuperare libri di medicina che mostravano, con illustrazioni in rosso e blu e verde, le devastazioni della lebbra e delle malattie della pelle, i cumuli di cellule distrutte, il tessuto marcito e il sangue corrotto e marrone. E non c'era fogna del mondo editoriale da cui non riuscisse a recuperare tutto ciò che era greve e vile nell'uomo.

Crenshaw non sarebbe riuscito a portare avanti tutto questo fino a tempo indeterminato, sia a causa della spesa sia per il fatto che prima o poi tali libri sarebbero finiti. Quando furono passati cinque anni decise di passare a un altro tipo di tortura. Metteva in testa al Demone false speranze, dicendogli che i suoi sentimenti erano cambiati e che si sarebbe mosso per chiedere la grazia, e poi faceva a pezzi queste speranze. Oppure fingeva di avere una pistola con sé, o qualche sostanza infiammatoria che avrebbe mandato alla fiamme l'intera cella e incenerito il Demone in due minuti. Una volta gettò una finta bottiglia esplosiva nella cella e ascoltò deliziato le urla del Demone che correva avanti e indietro aspettando l'esplosione. Altre volte simulava con aria cupa che il legislatore avesse approvato una nuova legge che prevedeva che il Demone sarebbe stato mandato a morte entro poche ore.

Passò un decennio. Crenshaw a quarant'anni aveva già i capelli grigi, a cinquanta bianchi e la routine di alternare le visite quindicinali alle tombe dei cari e quelle al penitenziario era diventata tutta la sua vita. Qualche volta restava seduto fuori dalla cella del Demone, senza dire alcuna parola per tutta la mezz'ora che restava lì. Anche al Demone erano diventati i capelli bianchi in quei vent'anni. Aveva un aspetto piuttosto distinto con gli occhiali cerchiati in corno e i capelli bianchi. Sembrava avere grande rispetto per Crenshaw e anche quando quest'ultimo, in un improvviso ritorno di vitalità, gli promise che alla visita successiva avrebbe portato un revolver e avrebbe chiuso per sempre la questione, annuì gravemente, come se stessero stringendo un accordo e gli stesse dicendo: «Immagino di sì. Sì, suppongo che tu abbia perfettamente ragione», e non menzionò la questione alle guardie.

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Quando arrivò il giorno non ebbe problemi a nascondere la pistola alle guardie del penitenziario. Ma con sua grande sorpresa trovò il Demone accovacciato sul suo lettino di ferro, invece che ad aspettarlo avidamente davanti alle sbarre.

«Sono malato» disse il Demone. «È tutto il giorno che mi brucia lo stomaco e non riesco a star fermo. Mi hanno dato una medicina, ma adesso è ancora peggio e non c'è nessuno che faccia niente».

A Crenshaw per un attimo parve che quella fosse una premonizione delle viscere dell'uomo per il proiettile che a breve le avrebbe perforate.

«Avvicinati alle sbarre», gli disse dolcemente.

«Non riesco a muovermi».

«Sì, ce la fai».

«Sono piegato in due. Non riesco a stare dritto».

«Vieni piegato, allora».

Con uno sforzo il Demone si mosse, solo per cadere su un fianco sul pavimento di cemento. Gemette e poi rimase in silenzio per un minuto, dopo di che, ancora piegato in due, cominciò a trascinarsi un passo alla volta verso le sbarre.

***

«È morto», disse il direttore del carcere. «La sua appendice è scoppiata. Hanno fatto tutto il possibile».

«Morto» ripeté Crenshaw.

«Mi dispiace darle questa notizia. So quanto...».

«Va tutto bene», disse Crenshaw, «Dunque è morto».

Il direttore si accese una sigaretta.

Sentendosi infelicemente solo e disperato, mormorò ad alta voce: «E dunque è morto, mi ha lasciato». E poi con un lungo sospiro dove si mischiavano dolore e paura, «Dunque l'ho perso... il mio unico amico... ora sono solo». Stava ancora parlando con se stesso mentre passava attraverso il cancello esterno. Quando il cappotto gli si impigliò nella porta esterna della prigione, la guardia la riaprì per liberarlo e lo sentì ripetere: «Sono solo. Alla fine... alla fine sono solo».

Passò un'altra volta a trovare il Demone, dopo diverse settimane.

«Ma è morto», gli disse il direttore gentilmente.

«Oh, già» disse Crenshaw. «Credo di essermelo dimenticato».

E ripartì verso casa, con gli stivali che affondavano nella superficie diamantina e bianca del terreno.

(traduzione di Nicola Manuppelli)

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