Cronache

DIBATTITO: sono peggio le corna o la noia?

Un lettore ci scrive: "Il primo matrimonio rovinato dall'infedeltà, il secondo dalla routine. Parlando con gli amici ho capito di non essere un'eccezione". La domanda chiave: "Convivere è davvero una schifezza?". Dite la vostra opinione su tradimenti e noia che fanno male al matrimonio. Lasciate un commento all'articolo o mandateci un'e-mail: direttoreweb@ilgiornale.it

DIBATTITO: sono peggio le corna o la noia?

Caro Direttore, la notizia che ieri mi ha colpito e fatto riflettere non riguarda l’economia né la politica e nemmeno lo sport, ma il risul­tato di un’indagine svolta in Inghilterra sul­le principali cause di separazione e divor­zio. In vetta alla classifica, stando ai dati uffi­ciali, non c’è più iltradimento,che è passato al secondo posto, cedendo il passo alla noia. Dico noia perché questa parola riassume tanti significati: anche il senso di estraneità e di indifferenza che può rendere insoppor­tabile la vita a due.

Scrivo a lei, Direttore, non perché l’abbia scambiata per uno psicologo, un medico del­­l’anima, un confessore: vorrei semplice­mente confrontarmi con qualcuno della re­dazione e magari con i vostri lettori. Si dà in­fatti il caso che io sia alla seconda esperien­za matrimoniale. La prima fallì per questio­ni di corna. La seconda esperienza, che va avanti da sei anni, sta facendo la stessa fine ma per motivi diversi: la mia attuale sposa da qualche tempo mi infastidisce. Non sem­pre; però spesso. Perdoni la franchezza: mi irrita quando alza la voce per esprimere con­cetti che si potrebbero dire con tono som­messo o almeno normale. Mi irrita se si sof­fia il naso. Mi irrita se starnutisce. Mi irrita perché a letto è irrequieta, si gira, si rigira per l’intera notte.Perché ha il respiro pesan­te. Perché è polemica. Perché si trastulla col telecomando e cambia canale ogni tre minu­ti. Mi irrita perché porta tacchi troppo alti e cammina male, rigida come un baccalà. Per­ché parla solo di lavoro e cita per nome i suoi colleghi che non conosco, e pretende che la segua in ragionamenti che mi sembrano de­­liranti o stupidi. Lei stupida non è, intendia­moci; all’università era più brava di me e si è laureata prima benché abbia la mia stessa età. Non è stupida, dicevo, ma a me sembra tale. Comunque non la reggo più.

Talvolta come nei filmati tv di terza catego­ria, dormo sul divano: sapesse che sollievo fumare quanto mi pare in attesa del sonno! Mi sta montando in testa l’idea di andarme­ne o di buttarla fuori di casa, che d’altronde è mia. Immagini: discutiamo anche se si trat­ta di andare al cinema o al ristorante; non riu­sciamo a metterci d’accordo neanche sul film da vedere o sul menu. Qualche volta mi interrogo: che sia diventata così perché ha un altro? E mi rispondo: magari, si mettesse con lui. Insomma, se mi tradisce chissene­frega. Tra l’altro,raramente facciamo l’amo­re e, se capita, lo facciamo svogliatamente. È un compito, non un piacere. All’inizio, i pri­mi due o tre anni, eravamo pieni di premure l’uno per l’altra, rispettosi, affettuosi,garba­ti. Poi la convivenza, la routine o non so che hanno rovinato tutto.

Il primo matrimonio, quello che si è rotto a cornate, era a fasi al­terne un paradiso e un inferno. Io allora avevo trent’anni e ora ne ho 47. Lei ne aveva 25. Era bella ed ele­gante, ma anche io non ero male (le manderò una foto). Eravamo innamorati e abbiamo messo al mondo una bimba, che non è stata la causa del disastro. Le spiego. Le donne mi sono sempre piaciute e, nonostante il matrimonio, di tan­to in tanto, spesso, mi concedevo qualche scappatella. Così, per va­riare. Caro Direttore, sarà capita­to anche a lei di battere la cavalli­na. Allora. Per un pezzo l’ho fatta franca, poi mi ha beccato: male­detto telefonino. E sono stato co­stretto a confessare: «Massì, è ve­ro, però ti giuro era la prima vol­ta ». Balle. Però cosa vuole, cerca­vo di minimizzare per ridurre i guai al minimo.

Mi aspettavo che il battibecco sfociasse in una bega mostruosa e, invece, lei esplose in una risata isterica. La guardai esterrefatto per capire cosa stesse succeden­do. Tornò seria e mi disse: «Siamo pari».

Cioè? «Ti ho tradito anch’io». Speravo scherzasse, o che desi­derasse punirmi insinuandomi so­spetti. Non scherzava. Afferrò il te­lefonino e con calma affettata pre­se a pigiare i tasti finché non mi porse il cellulare. Sul display c’era un messaggio d’amore, firmato Dario, che rivelava consuetudine di rapporti. Mi si annebbiò la vi­sta. Sudore freddo. Tachicardia. Capogiri.

Sprofondai in poltrona. Un dolo­re atroce che non so descrivere. Poi reagii e la tempestai di doman­de come fossi un pm. Avevo biso­gno di sapere tutto. E lei a spizzi­chi e bocconi, attaccò a racconta­re a grandi linee. Ma io pretende­vo i particolari, anche quelli inti­mi. Lì per lì era riluttante. Ma le mie pressioni la indussero a fornir­mi dettagli, forse per sfinimento. Fui colto dalla disperazione, ma una disperazione strana, in quan­to accompagnata da una podero­sa eccitazione. Che la contagiò. Fummo travolti da una ventata di erotismo rabbioso più che appas­sionato.

Stringo. Per un anno vivemmo come in trance. Io raccontavo le mie avventure (che inventavo), lei le sue. Una perversa complicità che lentamente ci distrusse. Per­ché ad ogni amplesso sfrenato se­guiva una lite furibonda. Consu­mati dalla gelosia, giungemmo al capitolo conclusivo. Una sera mi disse di avere un appuntamento. Non resistetti alla tentazione di pe­dinarla. Scese dalla sua macchina e salì su quella di un tizio. E io die­tro e debita distanza. Giunsero a Settimo Milanese ed entrarono in un motel. Con gli occhi pieni di la­crime tornai a casa, feci le valigie, mi recai da mia suocera a salutare la bambina e chiesi ospitalità a mia madre. Mi ero illuso che mia moglie avesse organizzato quel gioco crudele per compiacermi; ero talmente obnubilato e concen­trato su me stesso da non valutare la realtà più evidente. A lei non per­donavo ciò che perdonavo a me.

Per alcuni anni campai male. Gli alimenti da versare a mia mo­glie dimezzarono il mio pur otti­mo stipendio. Ero vuoto dentro. Poi conobbi quella che avrei spo­sato. Una storia tranquilla, piace­vole nella sua piattezza. Non so ca­pacitarmi: poco dopo decidem­mo di unire le nostre vite persuasi fosse lo sbocco naturale di un amo­re così così. Non l’avessi mai fatto. La tenerezza di lei si trasformò ben presto in arroganza. E adesso sono qui a scrivere a lei perché non so da che parte girarmi. Se mollo anche questa sono rovinato economicamente. Se non la mol­lo muoio di disgusto. Se faccio l’amore con un’altra devo pensa­re alla prima moglie altrimenti non mi eccito e non combino nul­la.

Conversando con colleghi e amici,mi sono accorto di non esse­re un’eccezione. I discorsi sulla fa­miglia e i suoi valori inalienabili li sento ipocriti. Il matrimonio è una schifezza o no? Chiedo conforto e magari di essere illuminato. Mi può aiutare lei col suo Giornale a rimettere ordine nella mia testa?
Osvaldo A.

Caro signor Osvaldo,
il mio curriculum sentimentale non mi consente di dispensare consigli. Qualcuno direbbe: senti da che pulpito viene la predica.

Pertanto mi limito, per solidarie­tà, a pubblicare la sua lettera (la prossima spero sia più breve) au­gurandole che altri, leggendola, possano fare di più del niente che ho fatto io per aiutarla. AS

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