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Dietro le parole del premier turco il grande scontro tra laicismo e islamismo

Chi sono i 100mila armeni residenti in Turchia che il premier Erdogan vorrebbe cacciare dal suolo turco a causa dell’insistenza degli armeni (in Armenia e nella grande diaspora armena) a voler chiamare genocidio la strage armena fatta dagli ottomani nella prima guerra mondiale?

Chi sono i 100mila armeni residenti in Turchia che il premier Erdogan vorrebbe cacciare dal suolo turco a causa dell’insistenza degli armeni (in Armenia e nella grande diaspora armena) a voler chiamare genocidio la strage armena fatta dagli ottomani nella prima guerra mondiale? Sono una nuova mina che il leader del partito islamico Giustizia e Sviluppo (Akp) al governo sta mettendo sulla strada della riconciliazione storica fra i due popoli. Poiché la ripresa dei contatti diplomatici fra Turchia e Armenia aveva fatto pensare il contrario solo qualche mese fa, come spiegare questa svolta del governo di Ankara? L’impressione è che, nonostante il costo interno e internazionale di questo nuovo irrigidimento turco sulla questione dell’Olocausto armeno, la svolta sia legata al grande scontro in corso in Turchia fra laicismo e islamismo.
Il costo interno è dovuto al fatto che almeno 70mila dei 100mila minacciati di espulsione sono persone indispensabili alla società arricchita turca. Sono nella loro stragrande maggioranza donne, impiegate come cameriere o badanti di anziani nelle città. Ora i centri urbani, contrariamente alla Turchia tradizionalista e in gran parte analfabeta delle campagne, sono le cittadelle del laicismo, non meno di come l’esercito, per Costituzione, è il custode dell’ataturkismo. Il costo esterno, come si è visto con la recente approvazione alla commissione del Congresso di Washington, dell’accusa di «olocausto» armeno contro la Turchia (che violentemente lo nega) ha provocato il ritiro dell’ambasciatore turco da Washington, il non intervento della lobby israeliana (per la prima volta in anni) a sostegno dei turchi (a causa del raffreddamento delle relazioni fra Ankara e Gerusalemme). Sono «munizioni» che i due grandi opposti movimenti per il «controllo» dell’anima turca - il partito di Erdogan e l’esercito - stanno da mesi combattendo nel quadro di un presunto «colpo di Stato» militare contro il governo.
Questo «golpe» (che se fosse riuscito, sempre che non si trattasse di una montatura degli islamici, sarebbe stato il terzo nella storia della Turchia moderna in difesa della laicità della Repubblica) ha dimostrato con l’arresto di almeno 60 ufficiali, in servizio e di riserva, che la casta degli ufficiali non è più inviolabile. D’altra parte quando nel 2007 un giovane nazionalista assassinò Hrant Dink, direttore turco armeno di un giornale che aveva osato parlare dello «olocausto armeno», oltre 100mila persone di ogni origine e fede hanno seguito la sua bara. L’omicidio, lungi dall’aumentare l’odio per gli armeni, ha aumentato le critiche al governo per il perseguimento di una politica che non solo appare storicamente ingiustificata ma anche come un appello del partito islamico nella sua lotta contro il laicismo e soprattutto contro il ruolo dei militari a difesa della laicità turca.
La minaccia del premier Erdogan di espellere gli armeni illegalmente residenti in Turchia fa parte dello stesso conflitto sulla identità turca che continua ad agitare la politica e la coscienza del paese. Questi armeni, o piuttosto armene, da espellere sono gli umili tessitori della tela comune della nazione turca. Sono - come scriveva il 14 scorso l’Economist londinese - persone che arrivano col cuore pieno di terrore per il turco e che tornano a casa a raccontare storie sulla benevolenza che hanno scoperto nelle case turche. Fanno parte di quel mondo sempre più esteso nella società turca che ne ha abbastanza dei miti di odio religioso e nazionale. Miti su cui si fonda ancora in larga parte il pregiudizio delle masse musulmane contro l’infedele.

Che si tratti del cristiano nelle sue varie denominazioni, o dell’ebreo vestito da israeliano.

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