Controstorie

«Dietro questa rivolta c'è l'Arabia Saudita Ha detto chiaramente di voler colpire Teheran»

L'ex terrorista, oggi consigliere di Khamenei, spiega chi sia a fomentare i disordini

Gian Micalessin

Quando nel 1975 il terrorista Carlos, detto lo Sciacallo, attacca la sede dell'Opec di Vienna e prende in ostaggio una decina di ministri arabi, lui è al suo fianco. Quando la neonata Repubblica Islamica organizza le cellule libanesi da cui nascerà Hezbollah è tra i primi, nonostante sia sunnita, ad abbandonare l'Olp e mettersi al servizio dell'Ayatollah Khomeini. E quando, nel 1980, Khomeini gli chiede di far fuori l'ex primo ministro iraniano Shapour Bakhtiar in esilio a Parigi lui non esita un attimo. «Non è stato un attentato terroristico - racconta in questa intervista esclusiva a Il Giornale Bakhtiar stava preparando un colpo di stato per mettere fine alla Rivoluzione ed era stato condannato a morte. Io sono stato semplicemente mandato a eseguire la sentenza purtroppo sono stato ferito e arrestato». Il libanese Anis Naqqash, 67 anni, è ancora oggi il depositario di molti segreti. Non a caso nel 1990 - nonostante l'ergastolo comminatogli da un tribunale francese per l'uccisione di un poliziotto e di una donna nell'attentato a Bakhtiar - viene graziato da Mitterrand in cambio del rilascio degli ostaggi francesi rapiti da Hezbollah in Libano. Stabilitosi in Iran riprende i rapporti con l'amico Imad Mughnye, il capo militare di Hezbollah, mente degli attentati costati la vita, nell'ottobre 1983, a 241 soldati americani e a 58 francesi. Un'amicizia durata fino al febbraio 2008 quando l'«amico Imad» viene ucciso a Damasco in un'operazione congiunta di Cia e Mossad. «Imad era più giovane di me e quando è entrato nell'Olp sono stato io ad addestrarlo. Ci siamo separati solo quando sono finito in prigione racconta ma da quando sono stato liberato e mi sono sistemato a Teheran siamo rimasti sempre in contatto fino alla sua morte». Oggi Naqqash sostiene di aver abbandonato la militanza attiva, ma fa la spola tra Teheran, Damasco e Beirut e si fregia del titolo di direttore di Aman, un sito internet da cui commenta le vicende mediorientali. Ma questo veterano degli intrighi mediorientali - vicinissimo ai capi dei Guardiani della Rivoluzione è considerato oggi uno dei consiglieri più ascoltati dalla Suprema Guida Alì Khamenei. E al pari della Suprema Guida considera la protesta divampata nelle città iraniane una manovra dei nemici della Repubblica Islamica. «Lo scontento economico di cui si è parlato è solo un pretesto. Certo, dietro la prima manifestazione a Mashaad racconta - c'era la rabbia per i soldi perduti nel fallimento di alcune banche. Tutto però s'inserisce nell'atmosfera che circonda l'Iran. Arabia Saudita, Stati Uniti e Israele sono alla ricerca di una scusa per giustificare un cambio di regime. I problemi economici hanno favorito le operazioni mediatiche realizzate attraverso internet e social media che puntano ad accendere la protesta nelle piazze. La protesta è già finita, ma i servizi di sicurezza iraniani restano all'erta. I sauditi hanno detto chiaramente di voler colpire l'Iran e per farlo stanno finanziando e mobilitando piccoli gruppi anti sistema all'interno del paese. Dietro l'attacco al Parlamento di Teheran dello scorso giugno, ad esempio, c'erano i servizi segreti di Riad. Ma l'Arabia Saudita non lavora da sola. Accanto a lei ci sono Israele e Stati Uniti. E ciascuno fa la sua parte».

Ogni volta che c'è un problema accusate Israele

«Dietro la guerra in Siria e tutte e altre minacce c'è sempre Israele. Sono i loro stessi analisti a dire che il conflitto sarà inevitabile, se non nell'immediato da qua a qualche anno. Del resto è nella logica delle cose. Finché continueranno nelle loro politiche contro Gerusalemme e contro il popolo palestinese lo scontro tra l'asse della resistenza e Israele sarà inevitabile».

Parliamo dell'Iran. Lei passa gran parte del suo tempo a Teheran. Ammetterà che c'è un profondo scontento economico.

«I problemi interni ci sono, ma la questione principale sono le sanzioni imposte per anni all'Iran. Quelle sanzioni hanno bloccato investimenti stranieri e le transazioni bancarie. E sono state soltanto in parte rimosse. La gente si aspettava un risultato più immediato che invece non c'è stato».

Nelle piazze urlavano slogan contro l'intervento in Siria e i finanziamenti ad Hamas.

«Sull'argomento c'è molta propaganda. Molti iraniani ascoltano le televisioni in farsi che trasmettono dall'estero. Sono martellati dalle notizie che attribuiscono la crisi economica all'intervento in Siria e in Iraq. Ma un paio di miliardi di dollari investiti in quelle guerre non fanno la differenza. La differenza la fanno le sanzioni. L'intervento in Siria e Iraq è stato fondamentale per salvare l'Iran. Se i suoi nemici avessero preso il controllo di quei paesi, l'Iran avrebbe dovuto difendersi combattendo dentro le proprie frontiere. E l'intera regione sarebbe stata in preda al terrorismo di Daesh e di Al Qaida».

Il regime però è diviso. I Pasdaran accusano l'ex presidente Ahmadinejad di fomentare la protesta e il presidente Rohuani perde consensi.

«Ha visto le manifestazioni a sostegno della Repubblica Islamica? Conservatori e riformisti marciavano assieme. Invece la gente scesa in piazza non aveva neppure dei leader. I dimostranti appartenevano a delle forze marginali che sono da sempre contro il regime e vengono manovrate dall'estero. Per questo tutto si è esaurito in pochi giorni».

Quali sarebbero queste forze marginali?

«L'asse principale delle operazioni sono ancora i mujaheddin Khalq che operano dalla Francia e continuano a manovrare dei militanti all'interno dell'Iran. Lavorano agli ordini di Stati Uniti e vengono finanziati con i soldi sauditi».

Ma i mujaheddin Khalq sono un gruppo al lumicino

«È vero, proprio per questo non rappresentano una minaccia seria per il regime. Ma per seminare disordine non c'è bisogno di molta gente. Loro da questo punto di vista sono pochi, ma assai attivi. Sono loro a manovrare quelli che gridano slogan contro la Guida Suprema.

E dietro alle donne che si strappano il velo ci sono sempre loro».

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