Difesa, legittima ma non legale

Difesa, legittima ma non legale

Vittorio Mathieu

Dotto e spiritoso Francesco Cossiga sul Giornale del 27 giugno, a proposito del terrorista rapito dalla Cia, in barba alla Digos e alla Procura di Milano. Il picconatore ci fa sapere di essere anche un eminente giurista, e le perplessità che emergono dal suo articolo sono di ordine giuridico, non politico.
Da un lato è ovvio che i servizi segreti, se potessero agire alla luce del sole, non avrebbero bisogno di essere segreti. Perciò le richieste alla Angius o alla Pecoraro Scanio che il governo venga regolarmente a riferire al Parlamento sul loro operato non hanno nessuna probabilità di essere soddisfatte: neppure nella più perfetta delle Repubbliche. E, se l’azione ha da essere segreta, ha da essere tale appunto perché illegale. Scontato, perciò, che non sia legale, potrà tuttavia essere legittima? La distinzione si affaccia nell’articolo di Cossiga con molti dubbi, e io mi propongo di chiuderli con un sì: la difesa in certi casi è legittima anche se non si serve di mezzi legali.
Se, per fare un esempio limite, persone armate, in numero superiore a tre, irrompono sul territorio nazionale forzando posti di blocco, la controazione non può essere decisa dalla Procura competente per territorio, previa trasmissione degli atti al gip e eventuale intervento del Tribunale del riesame. Non c’è dubbio che l’azione configuri un reato, aggravato dall’associazione per delinquere, e che i presunti autori di un reato siano innocenti fino a prova contraria; ma la guardia alla frontiera non potrà aspettare il responso della Cassazione. Ora, il terrorismo è un diverso tipo di guerra, ma guerra è, con conseguenze del tutto analoghe, e per questo son necessari i servizi speciali.
Ciò che, per contro, è effettivamente intollerabile è la pretesa di dare alle azioni illegali un’apparenza di legalità.
Eichmann, ad esempio, può darsi benissimo che meritasse ciò che ha scontato, ma il suo processo, dopo il suo rapimento in Argentina, confuse le forme legali con un’azione probabilmente legittima. Modello di tale confusione, come tutti sanno, fu il processo di Norimberga, che sollevò quesiti che tuttora non han trovato risposta. Altro è la speranza dei giusnaturalisti (in parte coronata da successo, prima del terrorismo), di instaurare un «diritto delle genti» che sia «diritto della pace e della guerra» insieme, altro la pretesa del vincitore di citare in giudizio il vinto perché ha voluto la guerra. (La pretesa, cioè, to outlaw war).
Così ciò che indigna nel caso Calipari non è che i comandi proteggano militari di leva mandati in missione col pericolo, non solo di essere uccisi (questo è il meno), ma anche di uccidere innocenti (questo è il servizio militare obbligatorio: è legittimo?). Ciò che indigna è che una corte di giustizia, contro l’«evidenza», dichiari che hanno agito secondo le regole. Oppure: che un’aviazione militare sia fiera di avere tra i suoi piloti uno che riesce a tagliare il cavo di una funivia e a mantenere l’apparecchio in assetto di volo, è naturale; ma indigna che una corte, sia pure marziale, dichiari che questo è un tipo normale di esercitazione.
I telefilm americani (Avvocati in divisa) ci hanno abituati ad apprezzare corti marziali che giudicano secondo la legge, nonostante i richiami del ministero e della Cia alla ragion di Stato: nella realtà, però, si ha l’impressione che l’ipocrisia prevalga. E l’ipocrisia ha radici lontane, nella dottrina di Cesare Beccaria (confutata da Kant) secondo cui lo scopo della legge non è la giustizia, bensì la difesa della società. La difesa è bene che si serva il più possibile di mezzi legali, ma questo non è possibile sempre e in ogni caso. Dunque, come l’organo giudiziario dev’essere indipendente dall’esecutivo, così l’esecutivo non può sempre dipendere dalle sentenze del giudiziario.

Confondere giustizia e difesa (come si fa, non solo in Italia) fa sì che troppo spesso cadano in basso, sia la difesa, sia la giustizia.

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