Controcultura

La deriva di un'ideologia che vive solo di anti-identità

I progressisti da tempo sanno solo dirsi "contro". Ma senza proposte e un'idea di futuro si consumeranno.

La deriva di un'ideologia che vive solo di anti-identità

Non riconosce più il suo volto, forse ha dimenticato perfino di averlo. Ogni tanto ricorda con nostalgia un tempo lontano, prima che i muri cadessero, quando i simboli erano chiari e i colori accesi e definiti. Adesso vive solo di riflessi, di sponde, di quella frase che si ritrova a ripetere troppo spesso: io non sono come loro. Non ha più avuto il coraggio di chiedersi: ma io? Io chi sono?

È così che anno dopo anno si è reso conto di prendere la forma e il profilo dei suoi nemici. Non era esattamente come loro, ma riusciva a percepirsi soltanto come l'opposto, l'antitesi, il rovescio. È lo stesso spaesamento che si prova nel guardare la Riproduzione vietata di René Magritte. È il ritratto di Sir Edward James, il mecenate del surrealismo. Magritte lo fissa davanti a uno specchio, di schiena, ancora giovane e senza la barba da santone. L'immagine riflessa non è però il viso, ma la nuca, come se avesse solo un retro e non una faccia. È il senso dell'anti-identità.

Ecco. La sinistra italiana, da quando non c'è più il Pci, assomiglia parecchio a questo olio su tela. È come il ritratto di Edward James. Si vede solo per quello che non è. È anti berlusconiana, anti Salvini e anti Meloni. È anti destre, anti sovranista e senza alcun dubbio anti fascista. Qualche volta è ancora ferocemente anti capitalista. È rossa, verde e arcobaleno. Era anti populista, ma poi ha abbracciato i grillini. Era no global, ma con il tempo se lo è dimenticato. È diventata europeista e atlantica come reazione agli euroscettici e ai nazionalisti. È anti liberista, ma stravede per Soros. È anti imperialista, ma si lamenta se l'America si richiude in se stessa. Non è solo una questione di partito. Questa storia non riguarda solo il Pd. È qualcosa di più profondo, che riguarda un sistema di pensiero. È la difficoltà a liberarsi dalla maledizione dell'anti. È una sorta di sindrome del positrone, l'antiparticella con carica positiva dell'elettrone. Ti puoi anche convincere che sei sempre dalla parte del giusto, ma se la tua identità si definisce solo come «ciò che non sei» il rischio appunto è quello di smarrirsi.

La sinistra si racconta come un baluardo della democrazia in Italia. È il frangiflutti contro l'onda sovranista, contro le tentazioni autoritarie, contro chi chiede sotto la sbornia dei sondaggi i pieni poteri. Questo dovrebbe lasciarli tranquilli. Il guaio è quel senso di sfiducia crescente verso il voto, le scelte scellerate della plebe ignorante, quel ripetersi «non sanno quello che fanno», l'insidia che arriva dal basso e dalla periferia, lo stupore di un Paese che non sa più vedere da che parte stia il giusto. È da qui che nasce la tentazione ricorrente di «sospenderla» questa benedetta democrazia, sempre per il bene supremo degli italiani, che non sempre assecondano la vocazione governativa della parte migliore del Paese. L'elettore? Meglio zittirlo. Diamogli il tempo di capire. Allora torna la vecchia storia della caduta di Weimar: in fondo anche Hitler è salito al potere con il voto. Vero. Solo che se non c'è un Führer in circolazione bisogna inventarselo. La legge potrebbe fermare chi mette in pericolo la libertà e la democrazia. Non si può essere tolleranti con gli intolleranti. Solo che servono prove, fatti, reati. Non basta gridare «al lupo al lupo». Allora al posto della legge, a rimettere ordine, arriva l'indice puntato. Si muove il sistema. Gli avversari politici vengono marchiati come «fascisti». Ma fascisti perché? Non ci sono perché. Se non lo capisci sei come loro. Se non lo vedi sei complice. Sei fascista anche tu.

Non è un ragionamento razionale. È un istinto. È la conseguenza di una cultura che da troppo tempo si riflette nell'anti identità. Ti serve un nemico, da demonizzare e da evocare. Il nemico ti rassicura, ti fa sentire vivo, rinforza valori che si stanno appannando. Ti sembra di nuovo di sapere dove andare, anche se stai fermo. La presenza del nemico ti permette di richiamare alle armi un popolo che temi di aver perso. Lo rincorri ma si allontana sempre di più.

Ci sono poi le identità perdute. Che fine ha fatto la sinistra garantista? Lo è mai stata? Ha davvero avuto a cuore i diritti individuali? A leggere Luigi Manconi anche qui non tutto torna. «Per molto tempo, i diritti soggettivi, le libertà personali, le garanzie del singolo e tutto ciò che rimanda all'autonomia individuale vengono, nella migliore delle ipotesi, dopo la conquista dei diritti collettivi. Questa concezione resiste fino agli anni Settanta, quando finalmente il tema delle libertà della persona non viene più collocato tra le categorie piccolo-borghesi; e non viene più confinato tra i valori liberali».

La sinistra, ossessionata dai suoi nemici, si è ritrovata a non avere più una sua visione. Le parole e le promesse sono diventate vuote, fino a perdere la capacità di parlare con chi cercava un punto di riferimento. Il peccato di essere un'anti particella è la cecità. Non si è stati in grado di vedere le paure degli operai, di dare una risposta politica a chi si trascina in un'esistenza precaria, di trovare un minimo di dialogo con quel ceto medio che sta sprofondando nell'incertezza. Non si ha più avuto la forza di immaginare un futuro. L'unico modo per sopravvivere, per resistere, è cristallizzare il tempo. Fermarlo, perché ogni cambiamento diventa un'insidia, ogni mutazione rischia di far saltare gli equilibri di potere. Non si può dire neppure che la sinistra sia diventata conservatrice, perché non ha mantenuto fede ai propri valori. È qualcosa di diverso. È la stagnazione come progetto di vita.

Mark Lilla, politologo statunitense e autore di L'identità non è di sinistra (Marsilio), racconta la crisi della cultura liberal americana e in parte il suo discorso vale anche per la sinistra italiana. Il malessere è lo stesso. «Sono un liberal americano frustrato. La mia frustrazione non è diretta contro gli elettori di Trump, o contro quelli che ne hanno sostenuto l'ascesa. La fonte della mia frustrazione è un'ideologia che per decenni ha impedito ai liberal di sviluppare una visione ambiziosa dell'America, che coinvolgesse i cittadini di ogni estrazione e di ogni parte del Paese. I liberal mettono molte cose sul piatto nelle contese elettorali: i valori, l'impegno, le proposte politiche. Quello che non offrono è l'immagine di uno stile di vita condiviso. È suicida e pigra l'idea per cui dobbiamo solo attendere la ribellione del popolo contro gli usurpatori».

La resistenza ha chiuso la sinistra nelle sue roccaforti spesso dorate. Non ha mai avuto però davvero il coraggio di interrogarsi su quello che stava accadendo. Se vinci nelle grandi città e perdi in periferia, nella provincia, nei paesi, nelle campagne, non puoi raccontarti come grande forza popolare, empatica con chi è marginale, chi sta fuori, chi sta in basso. Non puoi dire che la colpa è di chi si lascia incantare dal Trump o dal Salvini di turno. Non puoi pensare che la tua realtà sia la beffa di un maleficio, di un brutto incantesimo. Non è sempre colpa di chi bara o di chi non capisce. È che non sei quello che dicevi di essere.

Nel ritratto di Magritte c'è solo un oggetto che appare per quello che è: il libro poggiato sulla mensola. È un romanzo di Edgar Allan Poe. È Storia di Arthur Gordon Pym. L'avventura di un giovane che si imbarca clandestinamente su una baleniera. Pym vive in un costante stato di angoscia e attraversa ammutinamenti, massacri, cannibalismi, naufragi in isole sconosciute, sempre alla ricerca di qualcosa che lo definisca, un posto dove gli sfiniti trovano pace. Non lo troverà. Non sa neppure se è vivo o morto. L'ultima immagine è una gigantesca figura sbiadita avvolta in un sudario.

È il corpo di una creatura secolare senza più identità.

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