Politica

LA DINASTIA NORDCOREANA DI TONINO

C’è da rivalutare Kim il Sung per la sua modestia e le acque del Gange per la loro trasparenza, dottor Di Pietro: non ci viene nessun altro paragone rispetto alla sua personalistica gestione del Partito e rispetto all’oscuro statuto interno che sino a prova contraria (e ce la mostri questa prova contraria, dottor Di Pietro) fa di lei il percettore unico di milioni di euro che erano stati previsti a sostegno di organismi democratici, lo sappia: non della sua familistica saccoccia.
Lei, dopo essersi rimangiato la consueta minaccia di querele, aveva detto che avrebbe modificato lo statuto, e a un certo punto ha detto semplicemente che ok, l’aveva fatto: si potrebbe saperne di più? Dovremmo fidarci? Vogliamo scherzare? Fidarci di uno che ha modificato i suoi comportamenti da furbastro solo quando è stato beccato col sorcio in bocca? Ci stiamo riferendo solo ai suoi intrallazzi di partito, tranquillo, non alle conclamate balle su prestiti & favori che lei raccontò al Paese e persino ai suoi colleghi del Pool. Stiamo parlando per esempio del mutuo delle sue case di Roma e Milano che lei faceva pagare al Partito sotto forma di affitto, la circostanza la svergognò persino agli occhi del suo Ugo Intini ad personam, Marco Travaglio: promise di non farlo più, e invece, perlomeno a Roma, lo fa ancora. Stiamo appunto ritornando all’unico partito delle vicine galassie di cui un solo organismo cellulare (lei) è formalmente proprietario e nel cui consiglio si può accedere solo con il suo consenso: lei è dunque l’unico al quale andranno tutti i soldi del finanziamento pubblico (il resto del Partito è finanziato coi soldi degli iscritti) e lei rimarrà presidente a vita giacché né gli iscritti né un eventuale vero congresso potranno mai sfiduciarla: se il Partito Nazionale Fascista avesse avuto uno statuto del genere, come ha osservato Alberico Giostra nel libro a lei dedicato, Benito Mussolini il 23 luglio del 1943 non si sarebbe dovuto dimettere.
Daccapo, allora: si può vedere l’atto notarile con cui ha sancito la modifica statutaria? Chi l’ha firmato? Sua moglie c’è ancora? Chi l’ha approvato? L’ha approvato qualcuno del Partito, chessò, un’assemblea, o sempre voi dioscuri dell’Associazione? Ah già, l’associazione, una cosa così trasparente che ogni volta tocca rispiegarla. Allora. L’Italia dei valori è affiancato da un associazione costituita da Di Pietro (Presidente) e da Silvana Mura (tesoriera) e da Susanna Mazzoleni (moglie di Di Pietro) nel cui consiglio si può entrare solo con il consenso del Presidente (Di Pietro) al quale andranno tutti i soldi del finanziamento pubblico, questo mentre il Partito e le singole campagne elettorali sono finanziati come detto coi soldi degli iscritti; il presidente del partito corrisponde solo al presidente a vita dell’associazione, cioè di Di Pietro, e la Tesoreria del partito appartiene alla tesoriera a vita dell’associazione, cioè a Silvana Mura, cioè a Di Pietro; né gli iscritti al Partito né un eventuale congresso democratico possono sfiduciare il Presidente, cioè Di Pietro: saluti dalla Corea del Nord.
Ecco, è cambiato qualcosa? Sì o no? Non è che avete fatto tutto voi come al solito, ciò che potrebbe non avere alcun valore giuridico? C’è un avvocato, in causa con lei, che già lo sostiene: ma noi no, noi non sospettiamo che lei abbia architettato qualche nuova gabola: noi ne siamo assolutamente certi. Vorremmo soltanto vederla. Aspettiamo la prova contraria. Sino a essa non ci sarà sicuramente nessuno, tantomeno nel suo partito, disposto a credere che lei possa voler rinunciare a dirigere l’attività politica e organizzativa, rappresentare il partito in tutte le sedi, nominare il tesoriere, approvare i rendiconti e i consuntivi, essere titolare del simbolo che lei ha copiato e scippato alla Larus di Bergamo (la casa editrice con cui fece tre libri) e ancora convocare e presiedere l’esecutivo del Partito, costituire e dirigere l’ufficio di presidenza, sovrintendere al centro elaborazione dati, modificare appunto lo statuto, approvare anche gli statuti regionali, commissariare le federazioni, ripartire i finanziamenti, assegnare gli incarichi retribuiti, piazzare il figliolo, essere persino titolare dei siti Internet nazionali e della stampa del giornale di partito: Kim il Sung, e chi sei.
Il bello è che l’Italia dei Valori non nacque così com’è adesso: da principio era aperto a più soggetti e quantomeno ai 248 personaggi che lo fondarono a Sansepolcro. Poi, all’insaputa persino del numero due del Partito, ossia quell’Elio Veltri che la conosceva da 14 anni e che infatti le sbatté la porta in faccia, l’Italia dei Valori fu trasformato da Partito a partita a tre. Di notaio in notaio, l’autocrate, cioè lei, giunse all’attuale triumvirato che controlla decine di milioni di euro (e tanti stanno per arrivare) senza nessun controllo di nessun genere da parte del Partito a cui pure sono ufficialmente destinati: a meno di intendere che il Partito sia lui, Di Pietro, cioè lei. E infatti l’unico controllo di bilancio, per ora, lo sta facendo il Giornale. Non s’è mai vista un’assemblea dei delegati (non dico un congresso) e tanti saluti a una legge che lei, Gran Tonino, fingeva sempre di schifare, e che nelle intenzioni, comunque sia, prevedeva dei rimborsi per un partito, non per un’associazione che ha per simbolo il suo codice fiscale. Quindi forza, Gran Tonino, ci dica come stanno le cose, ci dimostri che le sue astuzie da mozzaorecchi non sono servite solo a fare ciò che le ha fatto abbattere una Repubblica: usare il finanziamento pubblico dei partiti per fini che pubblici non sono per niente.
Renda tutto pubblico. Ricordi che cosa gli dicevano tutti quei politici nella mitica stanza 254, dov’era il re degli zanza: li ho presi per il partito, dicevano.

Ecco, non deve dimostrarci altro.

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