Nautica

Dio creò il mare Monti lo distrugge

Non c’è pace per la nautica. La crisi ne ha dimezzato il fatturato. O quasi. Il "Decreto Salva Italia" la manderà a picco, alla faccia dei buoni propositi e della fiducia in una "crescita" che non ci sarà. Albertoni (Ucina) al governo: "Ripensateci, così muore un’eccellenza del made in Italy"

Dio creò il mare Monti lo distrugge

Quando il Padreterno creò il mondo sì divertì a disegnare una penisola, poi chiamata Italia. Mi­sericordioso, le riservò il trono di «Regina del Mediterraneo». Pen­sava, il Creatore, che gli oltre 8mi­la chilometr­i di coste di quella pe­nisola servissero a creare ricchez­za.

Aveva previsto tutto, anche co­me rilanciare il pigro Mezzogior­n­o e il turismo in caso di crisi even­tuali... Non aveva previsto, però, che dopo i fasti dell’impero roma­no­e le gloriose Repubbliche Mari­nare, nessun governo si sarebbe occupato seriamente di quella ri­sorsa praticamente senza limiti, quasi quanto i pozzi di petrolio che aveva destinato ad altre fortu­nate regioni del globo.

Non c’è pace per la nautica. La crisi ne ha dimezzato il fatturato. O quasi. Il «Decreto Salva Italia» la manderà a picco, alla faccia dei buoni propositi e della fiducia in una «crescita» che non ci sarà.

La stangata sulle barche ha già prodotto i primi effetti: alcune agenzie di servizi e importanti broker, infatti, pubblicizzano già i prezzi vantaggiosi dei marina croati, anche attraverso e-mail, mentre i nostri operatori prevedo­no un esodo di massa: a est verso l’Istria,a ovest verso la solita Fran­cia. Annientando in un colpo so­lo anni di investimenti. Stando co­sì le cose, e salvo improbabili ri­pensamenti, c’è da chiedersi:che fine faranno i 18mila posti barca in costruzione e gli altri 30mila in corso di approvazione? Senza contare che il rischio delocalizza­zione è già in «codice rosso».

«Il decretone di fine anno, e nel­lo specifico le misure che preve­dono l’introduzione di una tassa di stazionamento sui posti barca, sono destinati ad avere ripercus­sioni fortissime sulle economie locali della filiera nautica, dei ser­vizi, dei porti, del rimessaggio e del commercio legato al settore». È preoccupato Anton France­sco Albertoni, presidente di Uci­na- Confindustria Nautica. Legge le impietose stime dell’Osserva­torio Nautico Nazionale e scuote la testa: il gettito della tassa sarà pari 285 milioni di euro e avrà un impatto violentissimo sulle regio­ni che detengono il maggior nu­mero di posti barca: circa 45 milio­ni di euro a testa per Liguria e To­scana, 35 circa per Campania e Sardegna, 22 per il Friuli Venezia Giulia, 19 per il Veneto.

«Nel 2011 il 15% del traffico dei marina turistici è stato rappresen­tato d­a diportisti stranieri che ine­vitabilmente prenderanno altre rotte - è l’amara riflessione di Al­bertoni - mentre una flessione del traffico charter del 25% in ter­mini di mancato indotto, annulle­rebbe da sola l’intero gettito del­l’imposta, senza contare la man­cata contribuzione Iva sulla ven­dita delle unità nuove (acquista­bili con leasing estero, ndr ) e quel­lo do­vuto alla diminuzione dei ri­cavi delle aziende dei servizi e del turismo legati all’uso delle bar­che di proprietà dei privati».

Le imprese della nautica inten­dono fare la loro parte, non si tire­ranno indietro di fronte alla ri­chiesta di maggiori sacrifici: «Cia­scuno di noi - aggiunge Albertoni - è conscio che i sacrifici sono ne­cessari per un futuro di maggiore stabilità e crescita. Consapevoli di questo, proponiamo, tuttavia, una serie di aggiustamenti alla norma che, pur non esonerando il mondo della nautica da un coin­volgimento attivo, vadano a ren­derla più equa ed efficace ». In che modo? Eccolo: «Inserimento di un indice di vetustà delle imbar­cazioni che, come nel caso delle auto, renda inesigibile l’imposta per barche di età superiore ai 20 anni (tenendo conto che una bar­ca, dopo 2 anni, perde il 30-35% del proprio valore, che diventa il 40% dopo 4 anni e il 55-60% dopo 10 anni); differenziazione del­l’imposta tra barche a motore e barche a vela (una barca a vela di 15 metri costa molto di meno di una barca a motore di 8 metri). Inoltre, chiediamo che vengano escluse dal provvedimento an­che le unità con targa prova a di­sposizione delle aziende prima della loro vendita (altrimenti si colpirebbe solo la produzione) e le imbarcazioni che si trovino in un’area di rimessaggio per i gior­ni di effettivo mancato utilizzo».

«Suggerimenti» dettati dal buon senso a parte, il capo di Con­findustria Nautica auspica infine che «il governo prenda in conside­razione e valuti con la dovuta at­tenzione le conseguenze disa­strose che il provvedimento così com’è rischiadi avere su un com­parto cardine del made in Italy , che dà lavoro a 100mila persone e che rappresenta la quinta forza dell’export del nostro Paese».

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