Politica

Divorzio dai comunisti

Questo articolo parte da una ipotesi: è possibile, in un futuro non molto lontano la «grande coalizione»? Bisogna uscire dalla ubriacatura che ancora oggi domina parte della sinistra, nella quale riecheggia l'urlo «abbiamo vinto» appena presa coscienza dei primi risultati elettorali; allora potremo fare un'indagine realistica della situazione.
Al Senato la sinistra ha una maggioranza risicata, di pochissimi voti (vedremo il comportamento dei senatori a vita). In queste ore sono apparse le fratture fra riformisti e massimalisti che si ebbero durante la campagna elettorale: la Tav e le grandi opere, la legge Biagi, la politica estera (dall'Irak a Israele). Infine Romano Prodi che nei fatti non ha dimostrato e non sta dimostrando di essere un vero leader: non basta proclamare di avere avuto un'investitura plebiscitaria nelle primarie, nonostante il programma fisarmonica di 281 pagine.
Per parlare intorno alla possibilità di una «grande coalizione» dovrei tornare alla storia del Partito comunista italiano: nel mio ultimo articolo mi arrestai al XX congresso (1991) nel quale il partito cambiò il nome e assunse quello dei Democratici di sinistra. Anche se non ci fu un esame critico del passato sul perché della tragedia realizzata dal comunismo, quel semplice cambiamento del «nome» fu sentito come un dramma da molti dei dirigenti e da molti dei militanti. Nacque così, con Armando Cossutta, il Partito dei comunisti italiani, poi con Fausto Bertinotti Rifondazione comunista.
Non ci interessano le beghe per cui si divisero Cossutta e Bertinotti, dando vita a due partiti che si richiamano al comunismo, a un comunismo senza condannare Stalin. Ci interessa segnalare l'insofferenza dei Democratici di sinistra ad essere ancora chiamati comunisti (come spesso faceva Berlusconi). Questa distanza culturale si è prolungata nel tempo: nella passata legislatura Rifondazione comunista diede solo un appoggio esterno al governo di Massimo D'Alema senza entrare organicamente nella sua maggioranza.
Romano Prodi, che puntava solo ad avere una larghissima maggioranza senza pensare al dopo, riuscì a ricucire quella distanza. Tuttavia quella distanza sul piano della prassi politica restava: pensiamo all'elezione di Fausto Bertinotti a Presidente della Camera, mentre a quel posto aspirava più che legittimamente Massimo D'Alema. Il tutto è successo per la sprovvedutezza o dabbenaggine di Romano Prodi.
Si sta dimostrando come Rifondazione sia una palla al piede dei Democratici di sinistra, chiusi fra l'incudine ed il martello, fra i no di Rifondazione, pronunciati con voluttà per sembrare di sinistra, e la necessità di ricorrere ai voti del Polo delle libertà nel Senato per fare politica. Nella Repubblica federale tedesca i socialisti ruppero radicalmente con l'estrema sinistra per poter fare politica. E questo potrebbero fare i Democratici di sinistra, dimostrando chiaramente a tutti la loro cultura riformista e modernizzante. Una rottura a sinistra, ma anche una rottura a destra: la Lega di Umberto Bossi ha rappresentato la palla al piede della Casa delle libertà. Queste due minoranze, liberate dalla sinistra e dalla destra, sul piano della cultura non sono poi tanto lontane; potrebbero dialogare ed incontrarsi, governare assieme come è successo nella Repubblica federale tedesca.
Ma per realizzare questa ipotesi o questo sogno di una grande coalizione bisogna che i protagonisti della passata legislatura facciano un passo indietro e che si coaguli una nuova leadership più giovane. Gli anziani non hanno più nulla di nuovo da dire.

Bisogna cominciare a guardare al futuro con parole nuove.

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