La dolce vita del moscato rosso e il segreto delle pietre di Scanzo

La dolce vita del moscato rosso e il segreto delle pietre di Scanzo

Se con la primavera il bisogno di staccare la spina diventa incalzante, non rimane che pianificare una bella fuga. Scanzorosciate in provincia di Bergamo vale decisamente il viaggio, perché permette di godere delle sue morbide colline e di un particolare vino passito che viene prodotto in questa zona. Quello di Scanzo è un moscato anomalo che contravviene alle regole comuni dei suoi parenti enologici più stretti: a differenza della schiacciante maggioranza degli altri moscati, infatti è di un invitante color rosso rubino. Ma anche le dimensioni della produzione ne fanno una perla rara perché la Docg Moscato di Scanzo è la più piccola d'Italia: la zona in cui è prodotto è un fazzoletto di terra coltivata nella parte sud di Scanzorosciate, sulle colline più esposte al sole. La coltivazione della vigna è consentita solo in questa area geografica, caratterizzata da un terreno di origine morenica. Ma a rendere unica l'identità del moscato sono soprattutto «le Sass de Luna», particolari pietre bianche presenti in Lombardia che assorbono il calore del sole durante il giorno, e che durante la notte lo diffondono alle piante contribuendo in maniera fondamentale a definirne le caratteristiche.
La vendemmia e l'appassimento sono un processo lungo e laborioso: la raccolta avviene in un periodo successivo rispetto ad altri vigneti, fra la fine di settembre e ottobre e le uve vengono fatte appassire per un periodo che va da 20 a 50 giorni. Dopo la pigiatura la macerazione, e la fermentazione, arriva il momento del riposo: il vino deve invecchiare per almeno due anni, nei contenitori di vetro o di acciaio, prima di poter essere imbottigliato.
Il risultato è un nettare dal colore rosso rubino più o meno intenso con note di frutta matura, e che con gli anni si arricchisce di profumi insoliti, come quello dell’incenso.
Se i vitigni affondano le loro radici in una pietra dal colore plumbeo e lunare, le radici storiche del moscato vanno assai più in profondità. Perché il moscato di Scanzo è uno dei vini più antichi d'Italia: la prima testimonianza «scritta» della sua esistenza risale al 1347 quando il giurista e letterato Alberico da Rosciate affidò al suo testamento il desiderio di lasciare in eredità una certa quantità di moscato prodotto in terra bergamasca. Ma fu tra il 1600 e il 1700 che il moscato di Scanzo divenne un «vino di lusso», amato e conosciuto al di fuori dell'Italia. Alla fine del diciottesimo secolo la sua fama approdò anche in Russia: il pittore e architetto bergamasco Giacomo Quarenghi chiamato alla corte di Caterina II fece dono all'imperatrice di alcune bottiglie. Pare che la Grande abbia gradito parecchio, facendolo diventare in poco tempo il nettare preferito da tutta la sua corte.
Oggi questa produzione ha trovato la tutela che merita grazie al Consorzio del Moscato di Scanzo che per anni si è battuto per la sua rinascita e salvaguardia, scongiurandone anche il rischio di estinzione. L'antica tradizione produttiva di questo vino è stata riconosciuta nel 2009 quando il Moscato di Scanzo ha ottenuto la Denominazione di Origine Controllata e Garantita, diventando la prima Docg di Bergamo e la quinta della Regione Lombardia.

Un risultato importante per una Docg piccola abituata da secoli a pensare in grande.

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