Controcultura

Le donne stuprate dal "Branco" ultraviolento

Le donne stuprate dal "Branco" ultraviolento

Lo stupro di gruppo più famoso della letteratura italiana è forse quello de La ciociara di Alberto Moravia. I reparti marocchini dell'esercito alleato in risalita verso il Nord si macchiarono di numerosi atti violenti al punto che questi ultimi divennero proverbiali: erano «marocchinate» (il numero di ottobre de La storia in rete, la rivista diretta da Fabio Andriola, fornisce uno sconvolgente dossier sull'argomento). Rosetta e sua madre, nel romanzo di Moravia, vengono aggredite in una chiesa. La madre resiste, sviene ed evita lo stupro. La figlia invece non riesce a sfuggire ai «predatori» in divisa. Siamo nell'ambito dello stupro di guerra, gravissimo ma abituale in tutti i conflitti dalla preistoria a oggi, come testimoniano la storia (dal ratto delle Sabine in poi) e tanta letteratura (ad esempio L'ussaro blu di Roger Nimier).

Lo stupro di gruppo meno famoso della letteratura italiana è forse quello di Tentazione!, una delle novelle poco conosciute di Giovanni Verga. Tre ragazzi milanesi, in una strada di campagna nei pressi di Vaprio, dove hanno partecipato a una festa, incontrano una contadina in una strada buia. La violentano. Verga non descrive la donna: non sappiamo neppure come sia vestita e se sia bella o brutta. È una tentazione e basta. La storia è narrata dal punto di vista di uno dei tre ragazzi, che si tormenta e non riesce a spiegarsi come abbia potuto fare quello che ha fatto. Lo stupro è figlio di una ricaduta nel primitivo, è una forma di regresso alle passioni più istintive.

In questi mesi, la cronaca ha registrato tante storie di violenza sessuale, una più atroce dell'altra. La forza criminale del branco e il massacro, con stupro, delle vittime designate: ragazzine in posizione di debolezza. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: famiglie a pezzi, quartieri bui, periferie abbandonate a se stesse, sbandati in cerca di prede, una violenza sempre più spietata, un disprezzo crescente per la vita. Quella degli altri ma anche la propria. Inutile nascondersi dietro a un dito, in questi recenti casi di ultra-violenza sono coinvolti anche immigrati da Paesi che non mettono il rispetto delle donne in cima alla lista dei valori da seguire.

Un tentativo di capire (non giustificare) come nasce uno stupro di gruppo è il romanzo Il branco di Andrea Carraro. Uscì sulla rivista Nuovi argomenti, col titolo La baracca, nel 1993. L'anno dopo fu edito col titolo attuale da Theoria. Ebbe anche una omonima riduzione cinematografica con Marco Risi alla regia (1994) presentata alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Nel 2005 arrivò la terza edizione per Gaffi. Insomma, Il branco è un piccolo ma significativo caso dell'editoria. Uscito negli anni Novanta, ispirato da un fatto di cronaca degli anni Ottanta, ora ristampato da Elliot, fa ancora paura. Siamo in un paese della provincia romana. I ragazzi passano il tempo tra microcriminalità, partite di biliardo, uso «ricreativo» delle droghe, lunghi giri in vespino. Il giovane Raniero è innamorato della dolce Esterina. È un rapporto quasi zuccheroso, come zuccherosi sono gli adolescenti e i ragazzini. Ma Raniero vive anche nel mondo parallelo dei suoi amici, che non si incontra mai con quello dove vive Esterina. Gli amici da una parte, le fidanzate dall'altra. Carraro fa una scelta coraggiosa e assume il punto di vista del branco. Quei ragazzi all'apparenza innocui si trasformano in belve feroci quando si trovano di fronte due autostoppiste tedesche. Violentarle sembra impresa senza rischio. E così inizia la storia di una notte allucinante in cui Raniero, che al fondo sarebbe un bravo ragazzo, si abbandona a uno stupro che Carraro non ci fa mai «vedere» ma che intuiamo spaventoso. All'italiano gelido del racconto si contrappone il romanesco sboccato dei personaggi. Un romanesco di volta in volta giocondo, aggressivo, terribile nel descrivere con indifferenza violenze quasi inenarrabili. Il branco ragiona come un solo predatore. Chi si tira indietro e prova a uscire dal branco passa subito da predatore a vittima.

Un tema simile è stato trattato da Enrico Brizzi in Bastogne, un romanzo che sceglie una via linguistica totalmente diversa. Brizzi si inventa uno slang che rimanda al modello di Arancia meccanica, il capolavoro di Anthony Burgess. Siamo in una Nizza immaginaria, dove un gruppo di ragazzi, che vive di piccolo spaccio, si lascia andare all'ultra-violenza. Una rapina che ricorda Le iene di Quentin Tarantino. Stupro e omicidio. Era la stagione dei cannibali, corrente letteraria che nasce dalla quasi omonima antologia, Gioventù cannibale, a cura di Daniele Brolli per Einaudi nel 1996. Ne facevano parte, oltre a Brizzi, Matteo Galiazzo, Niccolò Ammaniti, Tiziano Scarpa, Aldo Nove e altri. Proprio nel 1996 uscì Bastogne. Fu uno scandalo all'uscita, oggi rientrerebbe nell'ordinario.

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