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La doppia morale di Repubblica Su Clinton scrisse: "È assurdo colpire un leader con un sexgate"

Pubblichiamo l’intervista fatta dal quotidiano la Repubblica all’avvocato Gianni Agnelli nei giorni caldi del sexgate che coinvolse il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, nel 1998. Agnelli, grande conoscitore dell’America, rilasciò l’intervista a Ezio Mauro, che due anni prima era diventato direttore del quotidiano del gruppo l’Espresso, prendendo il posto di Eugenio Scalfari. Nelle sue domande Mauro, che oggi guida l’assalto gossipparo contro Silvio Berlusconi usando la vita privata come arma politica, mette in evidenza i mali della società americana troppo presa a investigare sulle attività sessuali del presidente. I giudizi, evidentemente, cambiano. 

di Ezio Mauro

«Io penso che Bill Clinton resterà al suo posto. Alla fine, secondo me, l’impeachment non ci sarà, perché prevarrà la ragione e la convenienza. Ma attenzione alla storia che stiamo vivendo in questi giorni: perché l’America, la sua politica, la sua leadership, rischiano di uscire cambiate profondamente da una vicenda drammatica come questa». Gianni Agnelli guarda all’America, come ha fatto tante volte nella sua vita, in un momento di confusione e disorientamento in cui la morale e la democrazia si mescolano in uno scandalo sessuale che si è ormai trasformato in un dramma politico. Cosa sta capitando a Washington? Cosa pensa di questa crisi il mondo della finanza internazionale? E quale dev’essere, alla fine, il rapporto tra il potere, la libertà e la verità? Ecco le risposte di Agnelli.
Avvocato, cosa le dicono i suoi amici americani sul futuro di Clinton?
«Vede, in Europa tutti ripetono che l’America è sotto choc per questa storia di Clinton. Ma non mi sembra l’immagine giusta. L’America è mortificata, tutte le persone che sento mi trasmettono l’idea della mortificazione. E la cosa riguarda anche noi, che pure siamo lontani».
Perché noi?
«È semplice. Perché Clinton è il leader del mondo. Può piacerci oppure no, e probabilmente è un male che ci sia oggi un leader solo per tutto il pianeta. Ma le cose stanno così. E quel leader oggi è fatto a pezzi da questo scandalo. Ecco il problema».
Ma non le sembra assurdo che l’America distrugga la sua leadership per uno scandalo sessuale, in un momento di forte consenso per il presidente, con l’economia che va bene?
«In questo può contare l’ingenuità del Paese, nel senso proprio del termine: un Paese che non è scaltro e smaliziato, ma è schietto, spontaneo. Ma molto di più contano gli errori del presidente».
Quali errori?
«Uno soprattutto: aver ingannato l’America. Il Paese si è sentito imbrogliato da quella prima dichiarazione (che tra l’altro Clinton non era obbligato a fare, in quel momento), così netta e decisa nel negare tutto. Tutto ciò che poi ha dovuto ammettere, lasciando al Paese la sensazione di un inganno malriuscito».
Cosa doveva fare il presidente davanti ad un’accusa come quella che gli muoveva Starr?
«Non lo so. So però quel che fece Jefferson, quando mise tutti a tacere domandando: volete forse un eunuco alla Casa Bianca? E so che comunque mentire è stato un brutto errore. Badi bene: Clinton ha mentito a tutti, compreso il suo staff, i suoi collaboratori più stretti, che continuavano a negare tutto proprio perché credevano alla sua versione. E questo non va bene, nemmeno dal punto di vista di chi deve organizzare una difesa».
Ma perché l’America ha perdonato a Kennedy ciò che non perdona a Clinton?
«Non è il fatto in sé, la relazione con quella ragazza. Ma il modo in cui tutto ciò è avvenuto, il comportamento del presidente prima e dopo, quando ha mentito. Cosa vuole, da un lato c’è l’aura dei Kennedy, dove tutto si mescola - rafforzandola - alla leggenda di John e Robert, di Jackie che sembrava un’immagine della pop art, perfetta. E dall’altro lato c’è un presidente venuto dal nulla, che si è fatto da solo e che finisce maciullato nei verbali. Come capiterebbe a chiunque, intendiamoci, se le sue cose intime finissero squadernate, sezionate e amplificate da inquisitori, verbali, giornali, televisioni e Internet».
Lei cosa pensa di Clinton?
«L’ho incontrato poche volte. In mezzo a quella gente che lo circonda, mi capitò di ripensare al miracolo di Kennedy: come lui era dieci anni più giovane di tutti, dieci centimetri più alto, dieci volte più vigoroso e simpatico. Ho conosciuto meglio Hillary».
Come la giudica?
«Formidabile. Una donna molto in gamba. Se davvero Clinton non le ha detto nulla, spingendola a negare tutto l’ha messa due volte in difficoltà, perché l’America è convinta che lei non poteva non sapere».
Ma Clinton è stato un buon presidente?
«Un ottimo presidente. Gli americani, e anche gli inglesi, lo definiscono anzi un enorme talento politico. E in effetti domina i vertici, conosce i dossier, è un grande oratore, ha rilanciato l’economia. E oggi è azzoppato, forse irrimediabilmente».
Comunque finisca lo scandalo?
«Sì. Io penso che non ci sarà l’impeachment, però...».
Lo pensa o se lo augura?
«Lo penso: anche se so che Clinton è un buon presidente, mentre Gore non è ancora stato messo alla prova. Mi pare chiaro che oggi i repubblicani vogliano tenerlo alla Casa Bianca azzoppato, indebolito in politica estera e neutralizzato in politica interna; mentre molti leader democratici, soprattutto quelli che si giocano la rielezione, vogliono sbarazzarsene, ritenendo che sia ormai un peso».
Perché resterà azzoppato, se eviterà l’impeachment?
«Perché le giornate che ha appena vissuto e che sta vivendo sono state per lui umilianti. Veramente umilianti. E ci dovrebbero far riflettere, tutti».
A che cosa pensa?
«Al momento in cui è stato reso pubblico il rapporto Starr, più di quattrocento pagine in pasto alla gente. Ero davanti alla Cnn, quella notte. Vedevo scorrere brani di quel rapporto, sentivo avvocati che li commentavano in diretta. Mi sono fermato a pensare a quel che stava succedendo: un rapporto giudiziario e politico finisce su Internet, rimbalza in diretta sulle televisioni, si carica di opinioni e accuse, cento o duecento milioni di persone guardano tutto questo e premono sul Congresso con le loro emozioni prima e più ancora che con le loro opinioni. Un circuito infernale. Anzi, un cortocircuito tra democrazia, morale, politica, assemblearismo, populismo».
Qualcosa che serve ad emozionare la gente più che a informare i cittadini?
«Sì, con l’aggravante che attraverso Internet e il circuito mediatico tutto finisce per scaricarsi sul Congresso, influenzandolo in diretta. È un meccanismo più adatto - se ci pensa bene - a una dittatura che a una democrazia. Ancora un passo, e si potrebbe far assistere la gente ad un processo via Internet, per poi farle decretare in diretta l’impiccagione, con sentenza universale, sommaria e spaventosa».
Avvocato, tutto ciò in Europa non succede. Siamo più saggi o più ipocriti?
«Senza dubbio siamo diversi, anche se in Inghilterra ci sono stati scandali politico-sessuali. Ma è vero, la Francia non si è affatto scandalizzata per la figlia naturale di Mitterrand. Ed è certo meglio così. Vede, tutti dicono che Clinton aveva il dovere di comportarsi diversamente, ed è vero, o almeno di essere più prudente, ed è vero anche questo. Lui ne sta pagando il prezzo, che è salato. Ma questa storia, attraverso Clinton, ha mandato in pezzi per sempre il concetto di privacy e questo riguarda tutti noi.

Perché, alla fine, dovremo farci una brutta domanda: che vita sarà mai, questa nostra vita sorvegliata, controllata e prudente?».
(16 settembre 1998)

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