Politica

Il doppio gioco del Pd fra Tonino e il Quirinale

Il buon Dio, si sa, acceca chi vuol perdere. Sarà per questo che gli alti papaveri dell'opposizione assomigliano a poveri gattini ciechi che alla disperata ricerca di una via d’uscita, battono di continuo la testa contro il muro. A rischio di ridurlo in briciole. Il primo a venire avanti, perché agli altri scappa da ridere, è come al solito il leader dell’Italia dei valori. Fateci caso, ormai nel nostro Bel paese spesso si vuol fare il mestiere altrui. Capita così che un comico come Beppe Grillo si dia alla politica e un uomo politico come Tonino Di Pietro faccia avanspettacolo. E da par suo. Tant’è che nessuno ci fa ridere a crepapelle come lui.

L’ultima trovata del Nostro è davvero esilarante. Muso duro e petto in fuori, sentenzia: «C’è la necessità di capire bene il ruolo del capo dello Stato onde valutare se non ci siano gli estremi per promuovere l’impeachment». Se non sta su Scherzi a parte, poco ci manca. Ma come! Non gli basta una laurea in giurisprudenza per darsi una risposta? Se per avventura se ne fosse dimenticato, compulsando manuali di diritto costituzionale e monografie ad hoc potrà soddisfare ogni sua curiosità. Per quanto riguarda l’impeachment, l’ex pm fa un po’ di confusione tra le due sponde dell’Atlantico. Perché la nostra Costituzione prevede altro. E cioè che sia il Parlamento in seduta comune a mettere in stato d'accusa il presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione davanti alla Corte costituzionale, per l’occasione integrata da sedici membri laici. Un’idea fissa della sinistra, questa della messa in stato d'accusa. Coltivata nei confronti di Giovanni Leone prima e di Francesco Cossiga poi. Ma sempre rimasta allo stato di bella pensata. D’altra parte, l’anomala iniziativa del presidente Giorgio Napolitano ha la sua brava spiegazione. Rispondendo alle lettere di due cittadini di opposto orientamento, ha motivato il proprio assenso al famoso decreto legge interpretativo adottato dal governo. E lo ha fatto, guarda caso, soprattutto allo scopo di rendere edotto chi di diritto costituzionale non capisce un picchio. Alla fine la quadratura del cerchio, sia pure dopo passaggi defatiganti tra Palazzo Chigi e Quirinale, si è materializzata. Così, nel sostanziale rispetto delle norme previste dalla legge, si è voluto garantire il diritto dei cittadini di scegliere con il voto tra programmi e schieramenti alternativi. Un decreto che per qualche verso ricorda le circolari del ministero dell’Interno ai presidenti di seggio volte a limitare il numero delle schede nulle. Insomma, si è optato saggiamente per il male minore. Come ha riconosciuto un costituzionalista del valore di Giuliano Amato.

Come comico, del resto, Di Pietro è in eccellente compagnia. Già, perché gli esponenti del Pd non sono da meno. Si trovano, povere anime del Purgatorio, tra due fuochi. Da un lato Napolitano che ha emanato il decreto legge, dall’altro Di Pietro che tanto per non smentirsi minaccia sfracelli a ripetizione. Cercano perciò di contemperare capra e cavoli con trovate di inarrivabile comicità. Gli esercizi di equilibrismo di Anna Finocchiaro, eccellente capogruppo del Pd al Senato, valgono un Perù. Premette che l'inquilino del Colle «ha firmato il decreto nel quale non ci sono evidenti vizi di costituzionalità». Ma poi esplode. «Siamo di fronte a un fatto di una tale gravità che una manifestazione mi sembra il minimo». «Stavolta sono stati superati i limiti». «Niente sarà più come prima».

Incredibile! Lo spauracchio dell’opposizione è una manovra a tenaglia. Manifestazioni di piazza da subito, e sabato prossimo una a livello nazionale. Ostruzionismo in Parlamento un po’ su tutti i provvedimenti. Nonché un ricorso alla Consulta da parte della giunta della regione Lazio: dopo le dimissioni di Marrazzo, un morto che cammina. Intendiamoci, sgranchirsi le gambe fa sempre bene. Soprattutto alla circolazione sanguigna. Ma la minaccia di ostruzionismo è millantato credito. Ormai il contingentamento dei tempi a Montecitorio si applica fin dal primo calendario alla maggior parte dei disegni e delle proposte di legge. A rigore, anche ai disegni di legge di conversione. Ma, bontà sua, l’allora presidente della Camera Luciano Violante congelò la disposizione al riguardo. Perciò, alle brutte, potrebbe essere scongelata in ogni momento. Insomma, i regolamenti parlamentari non sono più quelli di una volta. E oggi non mancano espedienti antiostruzionistici di sicuro effetto.
Resta la figura meschina di un’opposizione che si abbandona a manifestazioni di piazza e all’ostruzionismo non già a difesa delle libertà ma perché avrebbe la bella pretesa di vincere a tavolino la partita delle elezioni regionali. Alla faccia di Voltaire. Ricordate? «Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo». Insomma, un boomerang agli occhi del tribunale dell’opinione pubblica. Vai a capire perché mai i vari Bersani e Di Pietro, con il contorno dei loro cari, continuano masochisticamente a farsi del male e a far ridere i polli.


paoloarmaroli@tin.it

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