Dove la co(s)toletta ti fa innamorare Ed è milanese vera

Ripetiamolo come un mantra, anche a San Valentino: costolette non cotolette, costolette non cotolette. La «s» è d'obbligo per il semplice motivo che la ricetta milanese prevede l'osso. «Oppure il manico, come si diceva ai tempi» racconta Armando Sebastiani, ex maitre di St.Andrews e ora patron di Peppino, in Via Durini. «Va detto che da noi la costoletta la mangiano soprattutto gli stranieri: è un piatto che gli italiani, le donne ancor di più, lo evitano per via della frittura».
Insomma, se siete a Milano e avete voglia di festeggiare in due anche una costoletta fatta bene è ancora una attrazione e una delizia, come ad esempio Al Nuovo Macello. Quando stanno per andarsene, i clienti ripetono la stessa frase: «Incredibile come non abbiate almeno una stella Michelin». Giovanni Traversone, lo chef nonché proprietario del ristorante ereditato dal nonno Silvio e dal papà Pietro, sorride e ringrazia: «Non la voglio, davvero».
Stella oppure no, qui in via Lombroso, una piccola traversa di Viale Molise, in un ambiente quasi spartano che fa tanto vecchia Milano, si mangia una costoletta assolutamente leggendaria: alta tre centimetri, carne di vitello olandese e poi frollata per tre settimane. «Per me è la miglior carne in assoluto, non perde acqua. La costoletta all'interno è rosea, non deve essere troppo cotta. La impaniamo con il pan carré di semola di grano duro e la friggiamo nel burro chiarificato. Da noi viene gente che sa apprezzare il cibo, arrivano dei gourmet da tutta la città, il 40 per cento per le costolette, il resto per i risotti e i ravioli di pizzocchero». Pure i dolci sono da applausi.
Al Ratanà, in via Gaetano di Castillia 28, 50 posti e musica anni Sessanta, aperto dal 2007 in un ex deposito, per assaporare la costoletta di Cesare Batisti devi prenotarla con almeno due giorni di anticipo: «L'abbiamo perfino tolta dal menù - racconta lo chef -. Può sembrare una assurdità, ma tutti la chiedono e mi tocca prepararne 50 nell'arco di due ore, non ci riesco, la cucina è piccola». Siccome sono costolette di quasi quattro etti, medio alte, gustosissime («solo vitellino di 14 mesi cresciuto ad Asti che si nutre esclusivamente con il latte della mamma»), la gente viene apposta. «È quasi tutta clientela fidelizzata. La carne la battiamo leggermente con il coltello, poi sei minuti su ogni lato in padella, con burro naturale e olio, perché l'olio regala la doratura. Non mettiamo la farina». La sommelier Federica Fabi aggiunge, quasi in maniera provocatoria: «La abbinerei ad uno champagne secco, che sgrassa. Direi con un Les Clos di Laherte Freres». «È vero - aggiunge Florence Guyot, produttrice di champagne -: il mio Cuvée Extase Millesimé 2002 Blanc Cru si sposerebbe in maniera sublime, il contrasto fra il piatto burroso e le mie bollicine cremose è a dir poco idilliaco». Interessante e da approfondire: champagne e cotolette.
All'Osteria del Brunello, in corso Garibaldi 117, Tunde Pecsvari, splendida signora ungherese trapiantata a Milano, sommelier e ovviamente grande amante dei vini (il nome del ristorante lo dimostra), ama usare il vitello di otto mesi cresciuto nelle fattorie italiane. «Non lo battiamo, come da tradizione e da ricetta doc, d'altronde qui offriamo una cucina autentica, portatrice di valori. L'impanatura è fatta con pan carré leggermente dolce che assicchiamo noi nel forno, la frittura con burro chiarificato. Impanatura croccante, la carne è succosa all'interno, accanto vi consiglio un Sangiovese di Romagna Assiolo 2011, non eccessivamente fruttato». La carta dei vini, va detto, è da far girare la testa. Aggiungiamo che il pane è delizioso.
Chiudiamo con la Trattoria la Pesa, punto di riferimento per gli amanti della cucina milanese. Lo chef Silvano Ghezzi, un passato da Savini, racconta i segreti della sua opera d'arte: «Scegliamo il vitello italiano, il che vuol dire che mangia anche ferro, a differenza di quello olandese: la carne è più saporita, la frollatura di due settimane. Puliamo di ogni grasso, la battiamo perché la costoletta alta non piace a tutti». Aggiunge il patron Massimo Motola, 37enne da sempre nel mondo della ristorazione: «Qui in via Fantoni abbiamo 60 coperti, ma da febbraio si spostiamo in via Abbadesse 19, si chiamerà Testina e ci saranno 20 posti in più».

Sempre troppo pochi per gli amanti della costoletta.

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