Cronache

Dove è più facile aprire un bordello che vendere chips

La liberalizzazione è stata un fallimento. Migliaia di ragazze dell'Est sono schiave

Dove è più facile aprire un bordello che vendere chips

A Stoccarda ricordano ancora quel giorno, in un fine settimana del 2009. Per l'apertura del Pussy-Club, un grande bordello in periferia, i proprietari decisero di fare le cose in grande. Con migliaia di volantini e annunci reclamizzarono l'offerta per le giornate inaugurali: 70 euro per il pomeriggio, 100 per la serata («Quello che vuoi, con tutte le donne che vuoi»). La campagna pubblicitaria si rivelò un successo superiore alle attese. A poche ore dall'apertura dovette intervenire la polizia: in coda di fronte al palazzone c'erano quasi 2mila persone, molte arrivate con pullman parcheggiati alla bell'e meglio nel quartiere.

Nulla di strano: tra le tante industrie tedesche in buona salute c'è anche quella del sesso. Negli ultimi anni la Germania ha superato di gran lunga l'Olanda ed è diventata, come scrivono preoccupati i giornali tedeschi, «il più grande bordello d'Europa». L'affermazione non pare azzardata: le case a luci rosse sono tra le 3.000 e 3.500 (solo a Berlino sono quasi 500); le prostitute hanno superato di slancio quota 300mila; a Colonia prospera il più grande casino del mondo, il Pascha, 12 piani, centinaia di lavoratrici del sesso che si danno il cambio 24 ore su 24.

Il boom è legato alla legge del 2002 che ha legalizzato la prostituzione e ridotto al minimo gli adempimenti burocratici per l'apertura delle case chiuse. La riforma aveva un obiettivo dichiarato: far uscire le prostitute dal limbo dell'illegalità. Molto alla tedesca, fu minuziosamente stabilito che le lucciole avrebbero dovuto iscriversi a un apposito fondo della previdenza sociale, che avrebbero pagato i contributi e le tasse. A 14 anni di distanza il fallimento è nei fatti. Dal punto di vista burocratico le sex worker registrate come tali sono poche centinaia, mentre sono aumentate notevolmente massaggiatrici ed estetiste: a nessuno piace essere incasellato in una professione «stigmatizzante» che si spera di esercitare per poco tempo. Soprattutto, dal punto di vista sostanziale, il Paese è stato travolto da un'ondata di giovani professioniste del sesso in arrivo dall'Est Europa. Il risultato è che il potere contrattuale delle prostitute nei confronti dei tenutari dei bordelli si è ridotto e che sono aumentate in maniera esponenziale inchieste e condanne per sfruttamento e tratta di esseri umani. Soprattutto da Ucraina e Romania le giovani donne vengono attirate con l'inganno in Germania e poi avviate verso il «mestiere». Nel 2014 la polizia ha censito circa 500 casi di questo tipo, ma alcune associazioni per la difesa delle donne parlano di 10mila persone coinvolte nel traffico. Per questo il ministro socialdemocratico della Giustizia Heiko Maas ha deciso di correre ai ripari. Senza rinnegare la legge del 2002 (voluta dalla coalizione allora al governo tra Spd e Verdi e contrastata dalla Cdu di Angela Merkel) si propone di introdurre una nuova figura di reato, con pene da uno a tre anni di carcere, per i clienti che si accompagnano a prostitute in situazione di «grave sfruttamento». La proposta ha però provocato una sollevazione tra criminologi ed esperti del settore. L'obiezione più gettonata è l'impraticabilità della nuova norma: per provare il reato bisogna dimostrare la consapevolezza da parte del cliente della situazione di «costrizione» della ragazza, cosa che non appare facile. In molti però mettono in discussione anche la sua utilità. Chi in Germania vuole aprire un negozietto per vendere patatine fritte, ha scritto qualche tempo fa il settimanale Der Spiegel , deve sottoporsi a una serie di adempimenti burocratici che specificano anche il tipo di asciugamani e portasaponette da mettere in bagno.

«Chi vuole avviare un bordello deve semplicemente comunicare alle autorità la data di apertura».

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