Politica

Le due vie del lavoro

Fremiti rivoluzionari, in Francia. Non in nome dell'ideologia o dell'utopia, ma dell'idea che la sicurezza, oggi, significhi per ogni individuo una cosa sola: il posto di lavoro a tempo indeterminato, il posto fisso. La dimensione sociale del fenomeno si fonda così sulle radici dell'intramontabile individualismo francese. Ma, sullo sfondo, tra un anno, le elezioni presidenziali, e politiche a seguire; la possibilità, per la sinistra, di trovare un tema di richiamo in mancanza di un leader; un'occasione, per i sindacati, di tornare protagonisti; per la destra, una prova di forza tra il premier Dominique de Villepin, scelto da Jacques Chirac come delfino, e il ministro dell'Interno Nicolas Sarkozy, che sfida entrambi.
Così, sul Cpe, ovvero il contratto di primo impiego, votato dal Parlamento e ritenuto del tutto conforme alla Costituzione dal Consiglio costituzionale, si è scatenata una battaglia che era iniziata con la paura dell'idraulico polacco, che aveva affossato la Costituzione europea, e che trova nell'identità tra globalizzazione e precarizzazione l'argomento principale per difendere il modello sociale francese. Un modello che finora non è riuscito a smuovere, se non marginalmente negli ultimi mesi, un tasso di disoccupazione fermo al 10%. Difficile, con tanti elementi che convergono su un solo punto, stabilire una gerarchia di responsabilità e soprattutto di intenzioni.
Secondo de Villepin, la Francia dovrebbe darsi una scossa, abbandonare un sistema in cui metà dell'economia ruota intorno allo Stato, pronto a difendere le grandi imprese di «interesse nazionale» dall'assalto degli stranieri ma, secondo gli avversari del Cpe, disposto a precarizzare il lavoro. Perché i punti controversi della legge erano due: la possibilità di licenziare i giovani di meno di 26 anni, e di farlo senza giusta causa. In questa semplice e chiara norma si è vista l'intenzione di dare alle imprese una «licenza di licenziare» senza veri ostacoli. Da qui la protesta, che ha visto insieme gli studenti, i sindacati, la sinistra ma anche una consistente parte della maggioranza e dell'opinione pubblica.
Intervenendo ieri sera a reti televisive e radiofoniche unificate, Chirac ha fatto un passo indietro: promulgherà la legge, perché la gerarchia istituzionale deve essere rispettata, ma chiedendo al governo di modificarla subito sui punti controversi: un anno di tempo per licenziare, anziché due, e motivazione del licenziamento. Fino a quando non verranno introdotte queste modifiche, nessun contratto potrà essere concluso sulla base della legge. In termini politici, Sarkozy ha segnato un mezzo punto a proprio favore. Ma Chirac ha voluto ricordare che, tirando troppo la corda, le imprese delocalizzano perché la liberalizzazione dei capitali, e quindi degli investimenti, è irreversibile. Perciò tutti, tenendo conto dell'interesse nazionale, dovranno dialogare per limare questa legge e renderla accettabile senza mettere la Francia fuori gioco.
Si è discusso abbastanza, in Italia, sulle analogie tra la legge francese sul Cpe e la legge Biagi, che la sinistra ha accusato di favorire la precarizzazione. Invece, proprio quello che è accaduto in Francia, dove si è tentato di far passare una legge molto cartesiana ma anche molto dura, dimostra che la via italiana per rendere più flessibile il mercato del lavoro è stata ben più produttiva. Da noi la disoccupazione è calata dal 9,1% del 2001 al 7,7% del 2005, senza incidere sulla prevalenza dei contratti a tempo indeterminato, che rappresentano l'87,6% del totale dei lavoratori dipendenti e che dal 2001 al 2005 hanno registrato un aumento del 9,1%. Perciò flessibilità non è sinonimo di precariato. Certo, si può sostenere che la legge Biagi sia poco cartesiana, ma funziona, non ha prodotto quello scontro sociale che è avvenuto in Francia, è «italiana» al punto di accontentare la maggioranza dei datori di lavoro e dei lavoratori (tre quarti di questi ultimi, secondo un'inchiesta del Sole 24 Ore del 2 febbraio scorso) e di lasciare fuori gli estremisti o alcuni autorevoli tecnocrati che dai loro asettici laboratori hanno difficoltà a cogliere i sentimenti della gente.
Nei prossimi giorni, in Francia e in Italia, l'opinione pubblica si esprimerà con modalità diverse. Vedremo se il compromesso proposto da Chirac, che in una certa misura umanizza lo stile di governo transalpino, sarà accettato come base di dialogo oppure se prevarranno più cinici calcoli politici.

E vedremo se gli elettori italiani avranno compreso la linea moderata ma coerente e produttiva tenuta dal governo in questa legislatura, mettendo su un piatto della bilancia il realismo dei risultati positivi e sull'altro l'oltranzismo di chi non ha mai collaborato, ha solo criticato e, sulle proposte concrete, come le tasse, mostra idee confuse e contraddittorie.

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