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E' allarme corruzione: una tassa da 60 miliardi

La magistratura contabile mette in guardia le pubbliche amministrazioni: "Corruzione fenomeno dilagante che frena lo sviluppo del Paese. Tassa immorale e occulta pagata dai cittadini. Soprattutto al Sud"

E' allarme corruzione: una tassa da 60 miliardi

Roma - La Corte dei Conti lancia l’allarme corruzione nelle pubbliche amministrazioni. Nel suo giudizio sul rendiconto generale dello Stato si legge: "Il fenomeno della corruzione all’interno della Pa - si legge nella memoria del procuratore generale della magistratura contabile - è talmente rilevante e gravido di conseguenze in tempi di crisi come quelli attuali, da far più che ragionevolmente temere che il suo impatto sociale possa incidere sullo sviluppo economico del Paese anche oltre le stime effettuate dal Saet (servizio anticorruzione e trasparenza del ministero della pubblica amministrazione e dell’innovazione) nella misura prossima a 50/60 miliardi di euro all’anno, costituenti una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini".

Problemi di immagine Secondo la Corte, "altre e maggiori conseguenze vengono prodotte dalla corruzione serpeggiante nella Pa sul piano della sua immagine, della moralità e della fiducia che costituiscono un ulteriore costo non monetizzabile per la collettività, che rischia di ostacolare (soprattutto in Italia meridionale) gli investimenti esteri, di distruggere la fiducia nelle istituzioni e di togliere la speranza nel futuro alle generazioni di giovani, di cittadini e di imprese". La magistratura contabile sollecita quindi, "data la vastità del fenomeno corruttivo, una decisa azione di contrasto affidata in primo luogo al legislatore perché assicuri un’idonea legislazione sull’organizzazione della Pa a tutela del principio costituzionale del buon andamento della Pa". La Corte evidenzia però l’insufficienza dell’azione repressiva in quanto, prendendo sostanzialmente atto di danni già verificati, costituisce un mero deterrente contro la corruzione 'scoperta', mentre è sul piano organizzativo che occorre insistere agendo sui comportamenti, sulle procedure, sulla trasparenza dell’attività amministrativa al fine di prevenire e/o limitare la probabilità che si realizzino gli eventi corruttivi descritti".

Problemi al Sud La magistratura contabile evidenzia "l’insufficienza dell’azione repressiva" perché arriva solo dopo che il danno si è verificato. Nella "classifica" della corruzione la Corte dei Conti ricorda che tra le prime 5 regioni per numero di denunce spiccano nell’ordine, la Sicilia (13,07% del totale delle denunce); la Campania (11,46%); la Puglia, (9,44%); la Calabria (8,19%). Con un’unica regione del Nord che è la Lombardia con il 9,39% del totale delle denunce. Secondo i dati della Gdf nel 2008 sono stati denunciati 3.224 pubblici ufficiali per reati contro la Pa mentre i carabinieri hanno scovato 2.137 funzionari infedeli. Sempre nel 2008 sono tuttavia aumentati i processi e le condanne per corruzione. In particolare le condanne sono state in tutto 68 e hanno consentito di recuperare oltre 117 milioni di euro con un "notevolissimo incremento" sul 2007 quando erano stati recuperati 18,8 milioni.

Lotta all'evasione L’evasione fiscale è "un vero e proprio tesoro che se acquisito all’erario risolverebbe non pochi problemi consentendo una sollecita riduzione del debito, una riduzione della pressione fiscale e un incremento delle spese in conto capitale tale da rilanciare l’economia". Lo afferma il procuratore generale della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, ricordando però le grandi difficoltà che questo percorso incontra almeno nella tempistica. Non sarà dunque possibile per Pasqualucci impiegare risorse dalla lotta all’evasione per fronteggiare la crisi economica. Pasqualucci ricorda che i suggerimenti che arrivano dagli economisti individuano risorse utilizzabili in un "forte recupero dell’area dell’evasione fiscale, l’alienazione di beni del patrimonio pubblico e una più incisiva riforma pensionistica". In particolare Pasqualucci ricorda che il ministero dell’economia valutava il valore aggiunto dell’economia sommersa nel nostro paese a quasi il 18% del pil: "In termini di gettito si tratta di almeno sette punti percentuali corrispondenti a oltre 100 miliardi di euro l’anno". Pasqualucci non nasconde però "un certo scetticismo quantomeno sulla rapidità su cui sarà possibile recuperare l’area dell’evasione". Al riguardo ricorda la "straordinarietà di questo obiettivo che dovrebbe essere considerato naturale e ordinario; l’indebolimento dell’apparato sanzionatorio e degli studi di settore. Un’ulteriore azione di freno delle risorse assegnate alle agenzie fiscali".

In conclusione "non può ritenersi che per questa via sia possibile acquisire con sollecitudine le risorse necessarie per far fronte alla crisi in atto".

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