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E gli aspiranti governatori giurano sull’Italia Il Cavaliere: «Vi nomino missionari di verità»

IMPEGNI Nel testo recitato in coro piano casa, snellimento della burocrazia, taglio delle tasse e delle liste d’attesa

RomaEmozionati come i boy scout quando recitano la Promessa, i dodici candidati governatori del Pdl (il tredicesimo, Luca Zaia, era assente per lutto) si raccolgono attorno al premier sul podio che domina piazza San Giovanni. E perfettamente sincronizzati, neanche avessero passato l’ultima a settimana a fare le prove di coro, pronunciano - alcuni con la mano sul cuore - la formula del giuramento: «Nel nome della libertà, prendo il solenne impegno a rispettare tutti i punti del patto per l’Italia», dalla «immediata attuazione del piano casa finora ostacolato dalla sinistra» allo snellimento della burocrazia fino al taglio di tasse e liste d’attesa.
La trovata scenografica l’ha voluta il Cavaliere in persona, che ha detto loro: «Vi nomino missionari di libertà e verità» e si è assunto il compito di presentarli, improvvisando per ciascuno un ritrattino: ecco il ligure Sandro Biasotti, un «imprenditore tosto» che se la deve vedere con il governatore della sinistra Claudio Burlando, e che ha il compito di «collegare il porto di Genova al Nord d’Europa». Poi Stefano Caldoro, favorito in Campania: «Un ragazzo magico, trasparente, bravissimo», dice Berlusconi, che gli chiede di fare nella sua regione quella «rivoluzione che la sinistra ha promesso e poi realizzato al contrario». C’è il leghista Roberto Cota, riconoscibile dalla cravatta verde, e il premier si entusiasma paternamente: «Un ragazzo pacato e moderato, che io amo in maniera straordinaria». Su di lui grava un compito ciclopico: sconfiggere Mercedes Bresso e poi realizzare il passaggio del Corridoio 5, «il treno ad Alta velocità che deve unire l’Atlantico al Pacifico». Sale Roberto Formigoni, in total black, ed essendo alla terza legislatura in Lombardia può permettersi la confidenza di cingere con un braccio il premier, poggiando disinvoltamente sull’altra spalla un bandierone azzurro. Il premier scherza: «Oddio. Aspettate che devo leggere il nome. Com’è che si chiama?». A Erminio Marinelli (Marche) il premier chiede un consiglio professionale: «Ho un dolorino alla spalla, che devo fare?». Poi spiega: «È un grande medico». Al terzetto di signore che si battono eroicamente nelle regioni rosse (Annamaria Bernini in Emilia Romagna, Monica Faenza in Toscana, Fiammetta Modena in Umbria), il Cavaliere riserva caldi attestati di stima: «tostissima», «formidabile dialettica», «riesce come solo le donne sanno fare a dividersi tra professione, politica e famiglia». E le invita a tentare di espugnare i «feudi» del «clientelismo di sinistra». Tocca a Rocco Palese, lo sfidante di Nichi Vendola in Puglia: «Un compito difficile in una regione che non riesco a credere che possa essere della sinistra». Il riferimento alle disavventure giudiziarie baresi, se c’è, è appena accennato. Poi arriva Giuseppe Scopelliti, che torreggia sul premier dall’alto dei suoi quasi due metri: «Giocava a pallacanestro», avverte Berlusconi, ma è anche stato «un sindaco eccezionale che ha trasformato Reggio Calabria, e ora dovrà trasformare la Calabria».
Infine, «last but not least», arriva Renata Polverini, e si capisce che la sceneggiatura era destinata a preparare il suo momento: la candidata del Lazio gioca in casa, la sua partita è in salita e Berlusconi ce la mette tutta per tirarle la volata, cingendole la vita e raccontandone la biografia dickensiana: la mamma vedova che fa «lavori umili» per mantenerla, lei che inizia come «centralinista alla Cisnal» e poi grazie a «grande coraggio, volontà e umanità» scala il sindacato fino al vertice. Polverini sorride e saluta con la mano la mamma, sotto il palco.

Gli applausi scrosciano e si spera che domenica prossima si traducano in voti.

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