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E Dario archivia già Walter

Il segretario ha cambiato rotta: semina Di Pietro e dialoga col governo. Parla di temi economici per spostare i riflettori dai suoi guai interni

Franceschini c’è e batte un colpo. Anzi più d’uno. Da qualche giorno si respira aria nuova dalle parti del Pd. Tre esempi. Sulla Rai, malgrado abbia detto che la trattativa con il Popolo della libertà sia compito ingrato, Franceschini si sta muovendo alla ricerca di un nome nuovo che segni la discontinuità, esattamente come chiede il premier. Se de Bortoli avesse accettato, nel pieno dello scontro fra maggioranza e opposizione avremmo registrato un brillante accordo per la nuova Rai. Tutto lascia pensare che alla fine si troverà una soluzione di reciproco gradimento.
Gli altri due esempi vengono, invece, dalle proposte che il nuovo segretario del Pd sta avanzando. La prima sull’assegno ai disoccupati e la seconda, ieri, su una imposta «una tantum» da applicare ai redditi più alti, a cominciare dai parlamentari, a favore di un contributo di solidarietà da mettere a disposizione dei comuni e degli enti locali. Sono proposte che fanno discutere, che taluni ritengono efficaci altri demagogiche, ma che sono politicamente rilevanti. In primo luogo perché Franceschini riesce a mettere al centro del dibattito politico non più la crisi del suo partito ma temi che parlano al Paese concreto. In secondo luogo, malgrado le parole che accompagnano spesso queste dichiarazioni, sembra di intravvedere una vera discontinuità dall’epoca veltroniana.
L’ultimo Veltroni era tornato a fare dell’anti-berlusconismo di maniera la bandiera della sua segreteria. L’inseguimento affannoso di Di Pietro l’aveva allontanato dai problemi del paese. Franceschini nei primi passi della sua segreteria sembrava riprendere i toni catastrofisti del predecessore ma negli ultimi giorni sembra preferire la sfida politica sui problemi che riguardano quella parte del paese che rischia di pagare il prezzo più alto alla crisi. È del tutto evidente che se non siamo di fronte a una campagna solo propagandistica, Franceschini mette in conto che su questi temi ci debba essere un nuovo confronto con il governo e la sua maggioranza. Si può parlare di un nuovo clima? È presto per dirlo, ma qualche segnale c’è.
Il vecchio spirito pratico democristiano sembra prendere il sopravvento rispetto agli ideologismi degli eredi del post-comunismo. È molto probabile che questa svolta di Franceschini sia ispirata anche da un disegno di lungo periodo. Nessuno crede alla sua affermazione sulla rinuncia alla candidatura nelle primarie di ottobre. Fra gli ex ds sono in molti che preferiscono l’ex-dc all’ex-comunista Bersani, eccessivamente sponsorizzato da D’Alema (che per sicurezza sponsorizza anche Franceschini).
Il ragionamento è semplice. Lo scenario post-elettorale di giugno può portare o a un risultato catastrofico che significherebbe il «tutti a casa» e la fine del Pd, oppure, in caso di un risultato superiore al 25%, il Pd sarebbe costretto a una nuova rifondazione. Il partito smetterebbe la vocazione maggioritaria e si preparerebbe a darsi una fisionomia socialistica da affidare nelle mani sapienti di Franceschini e Franco Marini. In tutti e due i casi saremmo di fronte alla fine del Pd. Nel primo caso per morte istantanea, nel secondo perché nascerebbe un nuovo partito «coalizionale» nel solco delle socialdemocrazie europee.
Il paradosso è che questa svolta, per avere successo, ha bisogno di essere gestita da un non-socialista, meglio se cattolico (non è cattolico il socialista Delors in Francia?) e ha bisogno di essere gestita senza il trauma di un nuovo cambiamento di nome.

Il concretismo di Franceschini guarda a questa soluzione e intanto si gode il vantaggio che si parli un po’ meno di lui e un po' più di cose che lui propone.

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