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E' il giorno di Amanda "Dopo 4 anni in cella è terrorizzata, ma spera"

Per la difesa dell’americana nessuna delle prove portate dalla Procura è valida: "Ridatele la libertà". Lunedì la sentenza

E' il giorno di Amanda  
"Dopo 4 anni in cella 
è terrorizzata, ma spera"

Perugia - «Amanda è innocente, Amanda, che ha trascorso 3 anni e 11 mesi in carcere (più di 1400 giorni) deve essere restituita alla libertà, alla sua vita, alla sua famiglia, agli amici». I difensori della studentessa americana, accusata di aver ucciso insieme al suo ex fidanzato Raffaele Sollecito e all’ex cestista Rudy Guede, la studentessa inglese Meredith Kercher, hanno tenuto una arringa a due voci e per più di sette ore nel tentativo di ribaltare il giudizio di colpevolezza e la condanna a 26 anni di reclusione che la studentessa di Seattle ha subito in primo grado. «Amanda - ha sottolineato l’avvocato Ghirga - vive un duplice stato d’animo: è terrorizzata dalle critiche che l’accusa ha mosso alla perizia di ufficio e al tempo stesso spera di tornare libera». Il verdetto è ormai alle porte: oggi si svolgeranno le repliche e lunedì prossimo, dopo le dichiarazioni spontanee che i due imputati hanno annunciato, i giudici si ritireranno in camera di consiglio per deliberare e per emettere la sentenza. Lunedì saranno presenti anche la madre e la sorella di Meredith.

Ma perché Amanda deve essere assolta? I due difensori hanno ripercorso l’intera vicenda e hanno messo in luce come la perizia dei professori Vecchiotti e Conti, nominati dalla corte d’Assise d’appello, abbia spazzato via tutti i dubbi e che cioè il sangue sul coltello ritenuto arma del delitto non poteva dare un risultato attendibile e scientifico perché quantitativamente scarso («low copy number») rispetto a tutti i protocolli internazionali e perché il gancetto di reggiseno, che grava su Raffaele Sollecito, rimasto per 46 giorni nella scena del delitto, risulta «contaminato». Affondata la prova scientifica, i due legali hanno attaccato le prove testimoniali.

In particolare il barbone che afferma di aver visto la sera del delitto Amanda e Raffaele a pochi metri dal cascinale di via della Pergola (ma che si è contraddetto da solo su vari punti) e il negoziante di via Garibaldi che sostiene di aver visto alle 7.45 del mattino Amanda davanti al suo minimarket (perché dopo aver assicurato, a caldo, ai poliziotti della Mobile che gli avevano mostrato le foto di Amanda e Raffaele di non averli notati, a diciotto mesi di distanza aveva dichiarato di ricordarsi la presenza dell’americana «perché i suoi due occhi azzurri non si dimenticano facilmente»). Testimonianze non attendibili, da scartare, quindi.

I due penalisti hanno ricostruito la notte in questura di Amanda e Raffaele tra il 5 e il 6 novembre 2007 e hanno spiegato che la studentessa era confusa («Hanno preso il mio cervello»). Hanno negato che tra Amanda e Mez ci fossero screzi. «Ma quale motivo di odio se avevano pranzato insieme - ha fatto rilevare Ghirga - poche ore prima del delitto? Erano amiche, che giravano insieme, amavano la musica, si frequentavano anche fuori di casa».

I difensori, nell’argomentare che quella in sequestro non può essere l’arma del delitto per la forma e la profondità della ferita sul collo della vittima, hanno riproposto la tesi dell’unico assassino, Rudy Guede. «Sulla scena del delitto non sono state trovate tracce di Amanda e di Raffaele, mentre la cameretta è piena di impronte, orme e dna di Guede», hanno rimarcato. E il sangue misto trovato nel bagnetto? «Non era sangue misto, ma sangue mixato: gli uomini della Scientifica nel prelevarlo hanno strisciato sulla maiolica per raccoglierlo insieme», ha affermato l’avvocato Dalla Vedova. E il dna non può essere datato.

Amanda è uscita più sollevata dall’aula e Raffaele l’ha salutata con un: «See you later».

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