Cronache

E il gol di Levratto sfondò la rete

E il gol di Levratto sfondò la rete

(...) i blucerchiati si troveranno di fronte chi, tra Rimini, Vico Equense o Lecce riuscirà a rimanere in corsa. E il Genoa? Da buona testa di serie la squadra di Gian Piero Gasperini potrà «battere la fiacca» fino a dicembre inoltrato, se non addirittura fino a metà gennaio. Tutti a caccia di una finale, mancata per un soffio nella scorsa edizione dalla Sampdoria di Walter Mazzarri.
E a proposito di finali di Coppa Italia, vale la pena di fare un tuffo a ritroso nel passato fino a incontrare il 17 luglio del 1922 quando il Vado (proprio quel Vado, vicino a Savona) conquistò la finale e riuscì a portarsi a casa l’ambito trofeo al suo numero uno. Una coppa in argento del peso di 8.250 grammi, che oggi non c’è più perché fu donata alla patria (alla segreteria federale del partito fascista) dopo le sanzioni della Società delle Nazioni dopo la campagna d’Etiopia.
Ma anche se la coppa, quella vera, non esiste più, anche se non ci sono più testimoni di quell’evento storico, la memoria di quell’epica battaglia contro l’Udinese è sempre vivissima. Una gara condotta sul filo di lana ancora nei tempi supplementari, quando l’Udinese ormai sperava nel pareggio e nell’opportunità di ripetere la gara in casa propria. Ma al 127º ecco il tiro di un giovane Levratto (quel Felice Virgilio che andrà 28 volte in Nazionale segnando due reti, giocherà nel Verona Hellas, nel Genoa e nell’Inter), che si fionda nella rete avversaria. Una vera cannonata. Raccontano che il terzino Cantarutti chiedesse stupito: «Ma è gol?». La riposta arrivò, in dialetto, dallo stesso portiere dell’Udinese Lodolo ancora sdraiato a terra con gli occhi rivolti alla rete strappata: «È passà e g’ha fatto il buso». «Levratto - scriveva un cronista dell'epoca - avanza verso il centro e triangolando con Babboni II anticipa l'entrata del centro mediano avversario, affronta il terzino destro, lo finta sulla sinistra, passa di slancio, avanza e da venti metri spara rapidissimo colpendo d'esterno sinistro, la palla carica d'effetto saetta lungo lo specchio della porta, si infila alta nell'angolo sinistro, squarcia vistosamente la rete e spegne la sua incredibile potenza contro la Torre di Scolta che orna il Leo a tramontana». Averlo visto...
Era così che il Vado entrava nella storia come pure il suo più amato cannoniere. Ma anche il capitano, Enrico Romano, «testina d’oro» che in una partita segnò tredici reti tutte di testa, o il portiere Achille Babboni I che rinviava la palla non con i piedi ma col pugno chiuso.

I ricordi restano in quel pugno, l’argento della Coppa, fuso, è rimasto alla patria.

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