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E i liberal ora accusano Obama: traditore

New YorkL’annuncio dell’interminabile accordo tra democratici e repubblicani per evitare il default è stato studiato come fosse un copione hollywoodiano. Sembrava di rivedere la pellicola di Oliver Stone «Wall Street» con un susseguirsi di eventi calcolati al secondo per compiacere e anticipare l’apertura delle borse delle tigri asiatiche. E infatti l’annuncio è arrivato, esattamente un minuto prima che aprisse la Borsa di Tokio. Subito dopo il Nikkei, l’indice giapponese, è partito al rialzo. Poi è toccato al presidente Obama, cupo e accigliato, confermare a denti stretti l’accordo bipartisan raggiunto in extremis, pochi minuti prima che aprissero le Borse di Hong Kong, Seul, Shanghai, Singapore, Sidney e Bombay.
Obama ha evitato il default, ma la sua leadership è ai minimi storici, così il suo indice di gradimento sotto il 40% e la sua immagine al momento compromessa, specie tra l’ala liberal del suo partito che lo accusa di tradimento per essersi spostato a destra. Criticato da tutti i giornali liberal come il New York Times, il Washington Post, il Los Angeles Times e i vari blog della sinistra del suo partito per aver ceduto su tutti i fronti e aver accettato tutti i diktat dei repubblicani: tagli pesanti e verticali alla spesa pubblica per 2.400 miliardi di dollari in 10 anni, senza poter aumentare di un dollaro le tasse agli straricchi. E peggio, la rabbia della maggior parte dei democratici cresce perché il nuovo piano finanziario di lacrime e sangue per tutti, anche per i pensionati e specie per la middle class già colpita dalla recessione, non tocca affatto le grandi multinazionali come le industrie petrolifere che hanno sgravi fiscali consistenti. Obama è consapevole della sua sconfitta e di essersi arreso ai repubblicani su tutto pur di evitare di essere ricordato come il presidente della bancarotta. Ecco perché domenica notte, mentre annunciava dalla Casa Bianca - a reti unificate - il compromesso raggiunto, era visibilmente abbattuto e cupo. «È questo l’accordo che avrei preferito? No...ma la cosa più importante è che ci permetterà di evitare il default e porre fine alla crisi che Washington ha imposto al resto dell’America».
E sì, l’accordo da ingoiare è indigesto, prevede un aumento del tetto del debito in tre fasi per circa 2.400 miliardi di dollari: 400 miliardi subito, 500 miliardi entro questo dicembre e altri 1.500 miliardi entro dicembre 2012. I tagli saranno di egual misura, ben 2.400 miliardi in 10 anni, e andranno a colpire le spese militari, le pensioni sociali e il Medicare (la spesa sanitaria). Vale a dire tutto ciò che volevano i repubblicani. Ma non è finita per Obama: 920 miliardi di tagli sono stati già individuati, gli altri 1.500 saranno proposti a fine novembre da una commissione apposita di 6 repubblicani e 6 democratici. E se la commissione non troverà l’accordo, il cerino tornerà nelle mani di Obama, che potrà spendere solo ciò che avrà in cassa (le entrate fiscali). In pratica è il pareggio di bilancio agognato dall’ala dura dei repubblicani, quelli del Tea Party.

Così toccherà a Obama e alla sua amministrazione stabilire chi pagare e chi non pagare, il presidente avrà la responsabilità politica di individuare ulteriori tagli pesantissimi alle pensioni, alla sanità e alle spese militari.

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