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E ora il cuoco-eroe festeggia: «Mia figlia è nata un’altra volta»

Mumbai«È stato come se mia figlia fosse rinata». Emanuele Lattanzi parla al telefonino con la voce rotta dall’emozione e dalla fatica. Dopo l’alba di ieri ha riabbracciato la piccola Clarice, di sei mesi, ignara di tutto il caos che si è scatenato intorno a lei negli ultimi due giorni. Le immagini di lui che stringe la bambina tra le braccia e che dribbla i fotografi davanti all’Oberoi hanno fatto il giro del mondo. Persino tra gli indiani lo chef italiano è diventato un idolo. La vicenda di sua moglie e della bambina intrappolate in una camera dell’albergo preso d’assalto dai terroristi, ha commosso anche le televisioni indiane che hanno dato ampio rilievo della liberazione. «Sì, mi sono visto in televisione», spiega il cuoco romano prima di scusarsi per la scortesia e chiudere il telefonino per il resto della serata. Ieri è stato braccato dai giornalisti di mezza Italia che ne hanno fatto un eroe nazionale. In effetti c’e voluta una buona dose di coraggio a entrare nell’hotel mentre il blitz era in corso con un biberon, un barattolo di latte in polvere e dei pannolini.
Emanuele, con ancora indosso la giacca bianca da chef, dove c’è scritto il suo nome ma senza «E», non ha più voluto sentire ragioni. Era esasperato. Non ne poteva più. La sera prima avevano riferito alla moglie Lea che tutto era finito e che l’avrebbero liberata presto. Poi più nulla. Anzi dalla strada e dai piani dell’edificio sono ricominciate le esplosioni e le sventagliate di mitra. Quindi ha deciso di forzare la situazione e convincere il cordone di sicurezza a lasciarlo passare. Gli è stato d’aiuto anche un manager dell’Oberoi che è il suo datore di lavoro e che lo teneva in costante aggiornamento della situazione all’interno dell’hotel. Poco tempo dopo è uscito da solo con la bimba in braccio e la moglie Lea che lo seguiva a distanza forse sbigottita da una folla così enorme e soffocante di fotografi e cameramen. Un sua amica che l’ha contattata telefonicamente poco dopo ha detto di averla sentita «abbastanza serena», anche se distrutta dalla stanchezza.
Lea si trovava in una camera al primo piano insieme con altri quattro stranieri, sembra indonesiani. Forse avrebbe potuto anche uscire da sola, ma le avevano consigliato di rimanere al sicuro perché le operazioni delle squadre antiterrorismo erano ancora in corso e c’era il rischio di pallottole vaganti. Prima di uscire anche lei avrà visto l’orrore dei corpi senza vita abbandonati tra i tavoli e nella hall. Molte ore dopo la liberazione degli italiani, quando i militari avevano lanciato l’assalto finale, è stata confermata dalla polizia la notizia del ritrovamento di 24 cadaveri. Erano le vittime della sparatoria iniziale del commando terrorista quando ha fatto irruzione nella hall e tra i tavoli della caffetteria dell’Oberoi. Nel pomeriggio alcuni corpi erano stati allineati in un garage del vicino edificio dell’Indian Airlines, ma si è creata una grande confusione tra i parenti delle vittime convocate per il riconoscimento. «Una coppia di miei amici sono morti, sono lì dentro, per favore mi aiuti a entrare», singhiozza Rishta, aggrappandosi disperata alla mano della giornalista del Giornale... «Tu sei italiana, magari ti fanno entrare, per favore portami con te...», supplica. Ma gli agenti che fanno muro davanti a una sbarra abbassata sono inflessibili e permettono solo il passaggio ai diplomatici stranieri.

Parenti delle vittime indiane, tra cui ci sono molti portantini, dovranno aspettare ancora un po’.

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