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E la piccola Danimarca contende il Polo ai russi

Nella sfida per i diritti al controllo dell'Artico Copenaghen pronta a esibire documenti decisivi

E la piccola Danimarca 
contende il Polo ai russi

Se il giochino funziona tra qualche anno Babbo Natale e le sue renne gireranno con passaporto e targa danese. Se non ci credete sfogliatevi «Strategia per l’Artico», la ricerca sponsorizzata dal ministro della Ricerca scientifica di Copenaghen. La ricerca è considerata dagli esperti una vera bomba geopolitica. Una bomba capace di ribaltare le sorti della grande guerra per il Polo Nord. Proprio così. La scontro diplomatico, militare ed economico - innescato nell’estate 2007 dalla spedizione di un sottomarino russo che pianta una bandiera russa sotto il circolo polare - rischia di esser vinta non dai capitan Nemo di Mosca, ma dalle teste d’uovo dell’accademia geografica danese.

In effetti chi è riuscito ad esaminare il documento già attribuisce la vittoria finale alla piccola, ma caparbia Danimarca. «Alcuni esami anche se molto preliminari dimostrano che Copenaghen possiede gli argomenti più concreti per pretendere l’inserimento del Polo Nord nei propri territori» spiega Ron McNab, uno scienziato canadese che ha lavorato per anni all’istituto canadese per i rilevamenti geografici sull’artico. Copenaghen sarebbe, insomma, l’unica delle cinque nazioni in lotta per il controllo della regione e delle sue risorse capace di provare scientificamente la continuità territoriale tra lo zoccolo continentale del Polo Nord e i propri territori. Un giochino messo a punto dimostrando l’esistenza di una connessione diretta tra il continente artico e quei territori della Groenlandia sotto amministrazione danese da oltre sei secoli. Per meglio comprendere il grande gioco di ghiaccio bisogna partire dalla fine. O meglio dal fatidico 2014. Entro quell’anno Danimarca, Russia, Canada, Stati Uniti e Norvegia, ovvero i cinque paesi con accesso diretto al circolo polare artico, dovranno presentare alle Nazioni unite, titolare della sovranità provvisoria sul Polo Nord, le proprie rivendicazioni territoriali. La lotta per la spartizione del continente bianco non è proprio una gara da quattro soldi. Sotto quella cupola gelata si nascondono giacimenti di petrolio e gas pari al 25 per cento delle riserve mondiali. Un quarto delle risorse energetiche ancora da sfruttare è riposto, insomma, in quell’immenso frigorifero. Un frigorifero oggi assai più facile da violare grazie allo scioglimento e all’arretramento dei ghiacci.

Il problema è però riuscire a dimostrare di possederne i contenuti. I russi, fedeli a stazza e tradizioni, ci provano esibendo i muscoli e cercando di creare, prima del 2014, una situazione di fatto che legittimi le loro mire geopolitiche.
Tutto inizia nell’agosto del 2007 quando due batiscafi russi lasciano Murmunsk in Siberia e si dirigono verso il Polo costeggiando la cosiddetta dorsale Lemonov, la grinza subacquea su cui poggia la pretesa russa di trasformare l’artico in una «dependance» casalinga. Con quella missione - affidata ad eminenti quanto allineati scienziati e suggellata dalla bandiera in titanio piantata a quattromila metri di profondità - il Cremlino rivendica la continuità dello zoccolo continentale e il pieno possesso di tutti i territori che vi si estendono sopra e sotto. Rivendicazione sottolineata, un anno dopo, dal presidente Medvedev che non esita ad ipotizzare l’annessione immediata di uno spicchio d’artico definito d’importanza strategica: «Dobbiamo mettere a punto tutte le formalità necessarie per spingere i confini fino allo zoccolo continentale, questa è la nostra responsabilità nei confronti delle generazioni future» spiega il presidente rivolgendosi ai componenti del Consiglio per la sicurezza nazionale.

Le mire russe rischiano ora di venir spazzate dai certosini rilevamenti degli scienziati danesi pronti, dopo quattro anni di ricerche, a presentare alle Nazioni unite il documento che fa carne di porco delle teorie di Mosca. Un documento non ancora ufficiale, ma «grazie al quale saremo in grado - preannuncia il ministro degli Esteri danese Lene Esperse – di avanzar pretese su un’area che include i fondali del Polo Nord».

Un modo come un altro per spiegare ai precipitosi avversari russi che «carta canta mentre il villan dorme».

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