E una rissa all’Isola eclissò in cronaca la caduta dell’Impero

Un libro di Francesco Ogliari (prefazione di Fedele Confalonieri) racconta come la città visse gli anni di guerra

E una rissa all’Isola  eclissò in cronaca la caduta dell’Impero

Ferdinando Maffioli

Sfuggire allo sgomento di una rovina materiale e spirituale, cancellare l’incubo di quell’orda tragica, affannata (e affamata) di cui ogni cittadino capiva di far parte: ecco il desiderio impossibile che martellava i milanesi nell’agosto del 1943. Il mese dei bombardamenti devastanti che avevano distrutto un quarto della metropoli, danneggiato edifici d’interesse culturale e storico, colpito il 50 per cento delle fabbriche. Il mese dei 250mila senzatetto, dei 300mila sfollati, del «Milan l’è pu el Milan». Il mese in cui - lo scriveva Riccardo Bacchelli sul Corriere della sera del 14 agosto - «il mondo è in gran parte disposto a concepire la civiltà italiana come un fatto di cognizione ormai archeologica».
Era la guerra, quella che i sopravvissuti magari raccontano con un dolore filigranato di nostalgia, in cui i vecchi orrori sfilano ovattati. Contro questo oblio, contro «le nefandezze di cui è capace il genere umano» si pongono le quasi 200 pagine del libro «Fiamme su Milano. I bombardamenti aerei 1940-1945» di Francesco Ogliari, con prefazione di Fedele Confalonieri (Edizioni Selecta). Un testo che esce a 60 anni dalla conclusione del secondo conflitto mondiale per far sì che «anche l’assuefazione alla guerra, tipica del nostro tempo mediatico - scrive il presidente di Mediaset - sia accompagnata da una vigile coscienza e da un monito».
D’altra parte l’assuefazione all’orrore bellico è una sorta di anticorpo che avevano anche i milanesi degli anni ’40. Dove tragedia e futilità si mescolavano inevitabilmente nel quotidiano. E mentre gli italiani, nell’aprile ’41, capitolano in Etiopia perdendo così l’Impero, la cronaca milanese dà spazio a «sei arresti per una rissa in piazza Minniti». La zuffa è avvenuta in un’osteria del quartiere Isola, e gli agenti «hanno potuto arrestare sei dei rissanti, non senza subire, sia per il trambusto sia per il buio, una dose delle botte destinate agli altri». Le ragioni dello scontro? La pretesa «di due degli arrestati, appena usciti dall’osteria, che gli altri si unissero a loro nel cantare».
A Ferragosto ’43 la città subisce il suo calvario più drammatico: le bombe colpiscono anche la Scala, la Galleria, Palazzo Reale, la chiesa di Santa Maria delle Grazie. E di fronte alle incursioni degli Alleati la «controaerea» più efficace sembra essere quella della propaganda: «Delitti inumani dei “gangster piloti” radiano per sempre gli Stati Uniti dal consorzio civile», si legge in un manifesto in cui una sorta di Al Capone, con sciarpa a stelle e strisce, punta il mitra verso un bimbo ucciso dalle bombe.
Assuefazione, ma non solo. Anche l’ironia aiutava a dribblare la drammaticità di quei giorni. «Ti giuro, Luigi, che tu sei il mio primo allarme aereo»: così una vignetta sminava la drammatica realtà dei rifugi sotterranei, oasi di salvezza ma anche possibili trappole mortali. E a chi aveva lasciato Milano, il Corriere dei Piccoli ricordava che «Sor Pampurio è arcicontento di essere qui per sfollamento. Né la moglie sua si lagna di risiedere in campagna».
Bombe, macerie, devastazioni, morti, pareti sventrate? Chi la scampava guardava a tutto ciò come si guarda a un incidente stradale: è capitato a un altro, poveretto. «A scuola l’allarme antiaereo era atteso come un diversivo - scriverà Luca Goldoni nel suo libro «Benito contro Mussolini» - si scendeva in rifugio, si poteva fare gli spiritosi con le femmine della terza C».
D’accordo, ma sono vecchie ferite. Ha senso riaprirle ancora dopo 60 anni? «Ho fatto la mia scelta e il libro è una realtà - scrive Ogliari -. L’ho portato a termine perché quei giorni milanesi ho allora condiviso, rivivendone oggi il vissuto, rivedendone ora il veduto. Ho avuto dubbi e ripensamenti sulla scelta del materiale da riprodurre, ma ho concluso il lavoro semza pregiudizi e senza rifarmi a retoriche di parte».
E chi ha avuto la fortuna di non conoscere l’orrore e il terrore della guerra? «Di fronte alle immagini proverà perplessità e sconcerto - è la conclusione di Confalonieri - nel rendersi conto di ciò che Milano e i milanesi hanno vissuto e sofferto. In sessanta mesi di guerra, di lotta, di tragedie, di sofferenze e distruzione.

Ma, e in misura anche superiore, di vita».

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