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Ecco l'amico che inchioda Penati: "Chiese venti miliardi per il partito"

L'imrpenditore Cotti racconta ai Pm e a Panorama: "Quel denaro serviva al partito e a sbloccare l'area Falck. L'accusa: "Vimercati e Penati mi dissero: non perderemo tempo, ma tu dacci i soldi". La clausola: "Chi prende l'area deve far lavorare le cooperative emiliane"

Ecco l'amico che inchioda Penati: 
"Chiese venti miliardi per il partito"

Milano - A questo punto, dopo ave­re letto le accuse circostanziate e devastanti che gli muove uno dei suoi stessi alleati, quel Diego Cotti della lista «Sesto per Penati» che racconta a Panorama di aver rice­vuto una richiesta di venti miliari di lire per sbloccare l’area Falck, una domanda sorge inevitabile: ma perché diavolo la Procura di Monza non ha chiesto l’arresto di Filippo Penati? Perché, di fronte ad una massa di elementi d’accu­sa ben più pesanti di quelli che qua e là per l’Italia spediscono gli indagati al fresco, l’ex presidente della Provincia di Milano nonchè numero uno del Partito Democra­tico al nord, continua ad essere un semplice indagato a piede libero? L’unica risposta che viene dagli ambienti investigativi è che la par­te­più grave dei reati attribuiti a Pe­nati risale a diversi anni fa, e che una richiesta di arresto si sarebbe pertanto scontrata con un diniego del giudice preliminare. «Ma- ag­giungono fonti vicine alla Procura - non è detta l’ultima parola...». Di certo, le nuove accuse contro Penati e il suo braccio destro Gior­da­no Vimercati cambiano radical­mente il quadro dell’inchiesta: perché stavolta a parlare non è un imprenditore in difficoltà come Piero Di Caterina o un rivale politi­co come Giuseppe Pasini, ma un uomo politicamente assai vicino a Penati: tanto vicino da avere affian­cato e sostenuto con una lista la sua candidatura a sindaco di Se­sto. Si chiama Diego Cotti, dirigen­te dell’Associazione industriali del nord Milano, esponente della Margherita ed ex genero di Pasini. Intervistato da Panorama , Cotti è andato giù pesante: come aveva fatto poco tempo prima nel corso di due interrogatori davanti ai pm monzesi che indagano su questa sorta di Tangentopoli rossa. E il suo racconto chiama in causa, ol­tre alla passione di Penati per il de­naro contante, anche il vero co­protagonista di questo scandalo: le Coop, i colossi dell’edilizia di si­nistra che da sempre sostengono finanziariamente i Ds e poi il Pd, e la cui presenza negli appalti era im­posta senza mezzi termini. «Non ti facciamo perdere tempo, ma tu ci devi dare i soldi»:Questo Cotti rac­conta di essersi sentito dire da Vi­mercati, alla presenza di Penati, in un incontro nell’estate del 2000 per discutere del futuro dell’area Falck. Vimercati, racconta Cotti, gli dis­se: «Pasini compera i terreni, li compera di fatto grazie a noi per­ché noi siamo i mediatori in questi affari. Ci riconosca la mediazione che si pattuisce abitualmente. I sol­di servono non solo a noi, la politi­ca ha dei costi, servono per Milano provincia, servono per scalare il partito, servono per Roma». L’in­contro, racconta Cotti, avviene nel Municipio sestese, in piazza della Resistenza. Vimercati parla, Penati assiste in silenzio. Il contri­buto economico, dice Vimercati a Cotti, «serve per Penati, per avere un ruolo più importante nel parti­to ». Vimercati e Penati, insomma, si rivolgono all’alleato Cotti perché il messaggio arrivi a Pasini. E in un incontro successivo, questa volta con il solo Vimercati, Cotti si sente precisare ulteriormente il messag­gio: «Mi disse: l’area Falck la può comprare solo uno che diciamo noi, perché fa parte di un accordo più vasto. La può comprare Pasini, se vuole, perché noi abbiamo ga­rantito che lui è un imprenditore serio e corretto e noi lo possiamo gestire perché è amico mio. Però se fa questa cosa deve coinvolgere le cooperative». Cotti specifica: «Non si riferiva a quelle locali, che infatti si infuriarono, ma a quelle emiliane, la Ccc, perché risponde­vano ad altri meccanismi». Diego Cotti,nell’intervista a Pa­norama , spiega anche come dove­va avvenire il pagamento: «All’ini­zio si pensò alla costituzione di una società di consulenza che fat­turasse il denaro, ma poi l’idea ven­ne scartata. A questo punto mi fu detto da Giordano Vimercati che di questa cosa non mi dovevo più occupare perché l’avrebbe segui­ta Piero Di Caterina. Di questa estromissione fui ben lieto». Il rac­conto, insomma, coincide perfet­tamente con quelli di Pasini e Di Caterina, gli altri testi chiave del­l’indagine su Penati. E proprio per­ché i tre pezzi del domino vengo­no messi a verbale da persone as­sai distanti l’una dall’altra, l’ipote­si di un complotto a base di calun­nie - cui si sta disperatamente ag­grappando la difesa di Penati- ap­pare sempre più difficile da soste­nere. Ma non è solo la posizione perso­n­ale di Penati ad uscire appesanti­ta da questa svolta dell’indagine. C’è il passaggio dell’intervista di Cotti in cui si dice chiaramente che, secondo Vimercati, una parte dei miliardi non doveva fermarsi né a Sesto né a Milano, ma viaggia­re verso la Capitale, verso le casse nazionali del partito: «Servono per Roma», avrebbe detto il brac­cio destro di Penati.

Dove,all’epo­ca, esistevano ancora i Ds, guidati da Walter Veltroni.

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