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«Ecco la nostra strategia sui motori verdi»

FrancoforteI dati più recenti suggeriscono un moderato ottimismo, sentimento che si sta risvegliando dopo aver rischiato di essere lavato via dalla marea della crisi economica. Secondo quanto comunicano dalla Divisione Daimler Trucks, alla fine di settembre le vendite hanno fatto segnare complessivamente un +34% rispetto allo stesso periodo del 2009. Tradotto in cifre, si parla di una differenza a favore dell’esercizio in corso di oltre 63mila unità. Ulteriori incrementi sono ora previsti per la fine dell’anno: 5% in Europa, tra il 10 e il 15% nei Paesi Nafta (Stati Uniti, Canada e Messico), tra il 20 e il 30% in Giappone, sino ad arrivare alla punta di diamante Brasile, dove la divisione attende un +50%. A confermare il trend arrivano le parole di Andreas Renschler, responsabile di Daimler Trucks che, riprendendo gli studi forniti dagli analisti (da qui al 2013, anno segnato perché si possa tornare ai livelli pre-recessione, crescita dell'8% per i mezzi medi e pesanti), pronostica per allora il superamento del tetto interno dei 500mila pezzi.
In quale direzione guardate per l'immediato futuro?
«Ai Paesi emergenti, tra cui includo il Brasile, dove siamo presenti da circa 60 anni, ma che ha molte prospettive, perché la stima stessa di crescita del Paese è molto buona; l'India, una piazza commerciale molto grande; la Cina, il maggiore mercato di camion commerciali al mondo, con un suo listino prodotti e prezzi, già il più importante per noi a livello di volumi; e la Russia. Per partecipare alla crescita, anche in Italia, dobbiamo però ancora fare qualcosa per allargare e ottimizzare la nostra rete di servizi. Perché per il resto i nostri camion sono davvero buoni».
Ma anche attenti, ovviamente, alle tematiche ambientali...
«Abbiamo già messo in strada quasi 40mila motori alternativi, che utilizzano sistemi diversi; il problema è, però, che non esiste una soluzione che vada bene per tutto. Oltre al gas naturale, stiamo studiando la seconda generazione di biodiesel. Pensiamo possa rivelarsi meno inquinante. I nostri Bus Fuso (uno dei cinque marchi della divisione) operano già in diverse città. Ci piacerebbe molto che la nuova generazione finisse una volta a Roma, ma sono certo che Iveco abbia qualcosa in contrario».
Intorno a quali aspetti ruota la vostra strategia?
«Perseguiamo, tra gli altri, l’eccellenza operativa sia nell’amministrazione che nella produzione, cercando di applicare, laddove abbia senso, il principio della distrettualità. Non ci aspettiamo, infatti, che si possa vendere un singolo modello in ogni regione, non esiste un camion globale. La componentistica, che rappresenta metà del valore di un mezzo, si può però condividere. Ed è così che facciamo».
Come definirebbe il vostro stato di salute?
«Dopo l’estate 2009, in cui abbiamo registrato il livello più basso nelle vendite, abbiamo visto la fine del tunnel. Da quel momento è tutto più stabile e ogni segno che arriva non fa che migliorare, leggermente, la situazione. La crisi che ha colpito il mercato dei camion lo scorso anno è stata una delle più drammatiche, inaspettata nelle dimensioni. In Europa ha riguardato mediamente il 50% del mercato, e negli Usa anche il 75%. Noi abbiamo scelto di non cambiare strategia, non abbiamo fermato alcun progetto, perché non c’è modo di fermare il futuro. Abbiamo risparmiato a livello di apparecchiature, non però per quanto attiene allo sviluppo del prodotto e alla penetrazione nei cosiddetti nuovi mercati.

E senza licenziare».

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