Ecco perché avere paura della sinistra reazionaria

Fra gli editorialisti del Corriere della Sera impegnati ultimamente nel tentativo di far dimenticare, visti i risultati del secondo governo di Romano Prodi, la responsabilità assunta dal loro giornale sponsorizzandone l’arrivo nella campagna elettorale dell’anno scorso, Ernesto Galli della Loggia è quello che si è guadagnato i maggiori rimbrotti degli esponenti del centrodestra. Che gli hanno contestato, fra l’altro, i giudizi troppo sommari espressi a carico dei precedenti governi di Silvio Berlusconi, come se i guai di Prodi derivassero dall’eredità ricevuta e non dagli errori inanellati alla guida della sua troppo eterogenea coalizione.
Ma più ancora delle concessioni di Galli della Loggia all’antiberlusconismo, di cui la compagnia prodiana ha bisogno per sopravvivere alla sua schizofrenica insufficienza, mi ha colpito l’indulgenza mostrata sul piano politico e culturale da Giovanni Sartori verso «Rifondazione comunista e partitelli di contorno». Dei quali egli ha rivendicato il 6 agosto il diritto di essere considerati «rivoluzionari», o «massimalisti», o «estremisti», ma non «conservatori», come qualcuno li definisce lamentando la loro ostinata resistenza a coniugare la sinistra con la pratica del riformismo.
Pur mosso dall’apprezzabile proposito di difendere il buon nome dei veri conservatori, o almeno di quelli che vogliono mantenere le cose buone e cambiare quelle cattive, Sartori ha praticamente chiesto ai moderati di non avere paura dei «nostri partiti massimalisti» perché essi «non sono al potere». E non essendo al potere non avrebbero il modo di passare dalla vocazione rivoluzionaria al sistema «rigido» delle dittature, esse sì «ossessivamente dedite alla propria immutabile conservazione».
Sartori evidentemente non si è ancora accorto, benedett’uomo, che «i nostri partiti massimalisti» non sono mai stati al potere come in questo secondo governo Prodi, condizionandolo ben più dei riformisti, veri o presunti che siano. Considerarli peraltro «rivoluzionari» è un azzardo culturale perché, più ancora che conservatori di cose cattive, essi sono semplicemente dei reazionari, impegnati come sono dalla mattina alla sera, nelle stanze del potere e nelle piazze, dove si sono già dati appuntamento per il 20 ottobre, a riportare indietro le lancette dell’orologio di questo sfortunato Paese, condannato al passo del gambero.


Di tutte le riforme faticosamente realizzate nella scorsa legislatura - dal mercato del lavoro «flessibile», che porta il nome di Marco Biagi, ucciso dalle Brigate rosse ma indecentemente scambiato da Francesco Caruso per un assassino, all’innalzamento dell’età pensionabile, dall’ordinamento istituzionale a quello giudiziario, dall’immigrazione alla riduzione delle aliquote fiscali - essi hanno reclamato e spesso anche ottenuto l’aggiramento o la soppressione.

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