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Ecco quando si può sgambettare il mercato

Lactalis compra Parmalat e si riaccende l’eterno dibattito su quanto lo Stato deve intervenire nel mercato, sul come deve farlo e, nel caso, a quali condizioni. Se, quanto e come, soprattutto, debba difendere le imprese nazionali perché rimangano tali. Il Giornale ha sollecitato un dibattito su questo tema. Ci sono stati gli interventi di Francesco Forte e Carlo Lottieri.
Lottieri, da autentico liberale, ha sostenuto che ha senso ancora essere liberali proprio perché di liberale c’è poco in questo interventismo dei governi e degli Stati. I liberali, in altri termini hanno ancora molto da fare nel loro essere sentinelle del libero mercato che, se oppresso da protezionismi più o meno mascherati, non può esprimersi al meglio creando ricchezza come potrebbe se lasciato libero.
A sostenere la tesi dei danni che porta con sé il protezionismo Lottieri non è solo, c’è una letteratura notevole, basterebbe pensare agli studi di Bhagwati che ha quantificato scientificamente i costi di queste misure che ricordano il colbertismo più puro.
Del resto la storia, non le teorie, ha dimostrato che il mercato non può essere stiracchiato da una parte e dall’altra perché, alla fine, non funziona più e ci rimettono tutti, a partire dai più deboli sui quali le crisi economico-finanziarie si abbattono con violenza. O meglio, nel breve periodo chi fa giochetti con il mercato, come imporre dazi e dogane che sfavoriscano le importazioni o, come nel caso italiano (ma anche francese e inglese) si inventa qualche escamotage per impedire l’acquisto da parte di gruppi stranieri dei gioielli di famiglia (ammesso che Parmalat lo sia), magari ottiene qualche risultato ma alla fine si ritrova sul groppone aziende decotte che prima ha tutelato e garantito oltre che ampiamente foraggiato. Chi non ricorda la storia della Olivetti?
Naturalmente il politico è sensibile, per motivi di raccolta del consenso, a cio che gli viene detto da lavoratori e dall’opinione pubblica: generalmente chiedono di difendere le aziende italiane e dall’assalto straniero. Ma, in realtà, cosa viene difeso? Un’azienda che rappresenta un interesse nazionale centrale o strategico? È così per la Parmalat? Si difende un principio? E quale mai sarebbe? Che siccome gli altri Paesi difendono le loro aziende contro la concorrenza ed il mercato allora dovremmo farlo anche noi? Non sarebbe meglio attivarsi perché ciò non avvenga invocando il Trattato europeo che sul tema è chiarissimo e impedisce agli Stati membri comportamenti protettivi contro il mercato e la concorrenza?
Forte, nel suo intervento, ci ricorda che il colbertismo in Francia non è mai scomparso tant’è vero che molti gruppi importanti sono ancora saldamente nelle mani dello Stato: da Telecom France a Edf e, indirettamente, da Danone a Air Corsica. Tutto questo non è nelle regole eppure l’Europa lo tollera perché come rileva giustamente l’allievo di Luigi Einaudi, in Europa qualcuno è più uguale degli altri e questo è la Francia. Allora: fare come loro o combattere perché in Europa non sia più così?
Certo se si mette la questione in termini di legittima difesa, storicamente, questo non è la prima volta che avviene. L’Italia lo fece già nell’800 e qualcuno sostiene che se non lo avesse fatto non saremmo ora dove siamo. Ma può essere questa la strategia di un Paese come il nostro? Secondo noi no.
Il Trattato europeo non prevede aiuti dello Stato alle imprese nazionali né tramite risorse messe a disposizione delle imprese né con norme e regolamentazioni che limitino i commerci e gli scambi commerciali nella loro libertà. Dietro questa impostazione non ci sono fondamentalmente delle scuole di pensiero ma la storia dell’Europa e dei suoi Stati che, nell’arco di almeno dieci secoli hanno verificato sul campo, empiricamente, che queste norme alla fine riducono la produzione della ricchezza.
Del resto il dibattito sui dazi da imporre alla Cina com’è finito? È finito e basta. Imprese italiani importanti, come ad esempio la Ferrero che si era vista copiare marchi fondamentali, non ha chiesto che si chiudessero le frontiere ma che si tutelassero i marchi nazionali in quel mercato. E così è andata.
Negli Stati Uniti furono chiesti e ottenuti provvedimenti protezionistici a favore delle imprese dell’acciaio. Ebbene, di lì a poco, l’industria automobilistica allora fiorente (due decenni fa) dopo poco fu costretta a chiedere l’abolizione di quei dazi in quanto doveva rifornirsi di acciaio da imprese estere gravate nei prezzi dai dazi che il loro stesso Paese aveva deciso di mettere. Il mercato funziona come l’apparato circolatorio umano: se lo strozzi in un punto ne risente l’apparato intero. Non si sfugge.
Ma vediamo cosa dice il Trattato. Sono consentite delle deroghe nel caso che si tratti regioni ove ci sia un tenore di vita basso o disoccupazione molto alta, progetti di interesse europeo o tali porre rimedio ad una grave anomalia del sistema economico di uno Stato membro, aiuti destinati a talune attività o talune regioni senza però alterare l’interesse comune e comunque la concorrenza e il libero scambio. Qual è la ratio di queste norme? È semplice: si può derogare solo nel caso in cui si debbano ripristinare le condizioni perché il mercato funzioni. Si può derogare al mercato, in un certo senso, per favorire il mercato. Ma nel caso di Parmalat dov’è il favore che facciamo al mercato, e dunque ai consumatori, nel caso in cui l’Europa accettasse le nostre eccezioni? Non è agevole vederlo a occhio nudo. Occorre forse l’occhiale politico ma non sempre questo favorisce una interpretazione consona al mercato e alle sue regole.
Alla fin fine l’unica regola vera che può ostacolare operazioni tra imprese (acquisti e vendite) è la certezza che ciò danneggi i consumatori. Ancora una volta: è questo il caso? Lactalis sarebbe in grado, acquisendo Parmalat, di costituire un monopolio in grado di danneggiare i consumatori attraverso comportamenti lesivi della concorrenza?
Va da sé che in Italia di cultura del mercato ce n’è poca e di cultura economica in generale ancora meno ma quando si parla di queste cose i ragionamenti da fare per capire e valutare sono di natura economica.

Altri ragionamenti sono legittimi, ovviamente, ma non ci portano lontano.

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