Economia

Gli aeroporti di Milano: Malpensa si rilancia solo frenando Linate

Gli aeroporti di Milano: Malpensa si rilancia solo frenando Linate

Cernobbio (Como)Il sistema aeroportuale milanese va riformato puntando su Malpensa e ridimensionando Linate. Sembra di tornare indietro di 15 anni, quando questo era l'assunto per il lancio di «Malpensa 2000». Invece è la tesi contenuta in una ricerca dello Studio Ambrosetti, presentata ieri a Cernobbio, intitolata «La gestione intelligente delle infrastrutture di trasporto aereo». Tema caldo in questo periodo, al quale il governo ha detto di voler metter mano in tempi brevi. Sempre a Cernobbio, il ministro dei Trasporti, Corrado Passera, ha ammesso esplicitamente che le norme create a suo tempo per regolare Linate e Malpensa sono state un errore.
Che cosa dice la ricerca? Quanto agli aspetti nazionali, indica come necessaria una classificazione tra aeroporti strategici a livello nazionale e scali locali; l'intero sistema dovrebbe essere coordinato per riportare un giusto rapporto di concorrenza e una più ragionevole ripartizione dei costi, specie infrastrutturali.
Ma la vera notizia sta nel rapporto Linate-Malpensa. È stato detto esplicitamente che per Linate vanno ripresi i contenuti del primo decreto Burlando del 1997, quello che prevedeva nell'aeroporto alle porte di Milano i soli voli per Roma. A Malpensa dovrebbe essere trasferito tutto il resto, creando una concentrazione di voli che è il solo presupposto per uno sviluppo reale della domanda.
Perché tutto questo? Ci si è accorti che Linate è diventato, anche a dispetto delle regole, il vero hub di Milano, che imbarca per i grandi scali europei passeggeri che poi volano sulle destinazioni di lungo raggio. Lo scorso anno sono stati 926mila i passeggeri «in fuga» da Linate a Francoforte, Monaco, Parigi, Londra, Amsterdam. Malpensa, che per sua natura è un aeroporto per voli di lungo raggio, viene dunque mortificato dal più piccolo Linate. Esattamente quello che si temeva 15 anni fa. Allora l'opposizione alle regole italiane fu avversata strenuamente dalla lobby delle compagnie europee; la vittoria di esse sta nei numeri di oggi. Un milione di passeggeri da Linate agli hub europei significa almeno un miliardo di euro in biglietti staccati da compagnie straniere. Quindici anni fa quel denaro sarebbe stato incassato, in buona parte, dall'alleanza Alitalia-Klm, basata a Malpensa. Le norme di allora (un progressivo compromesso costato 5 decreti!) provocarono il fallimento di quel progetto e il fallimento della compagnia di bandiera; oggi non resterebbe che consolarsi con una maggior efficienza dell'intero sistema aeroportuale e con tutto l'indotto che questo creerebbe. Non c'è dubbio, oggi nessuna compagnia né italiana né straniera è in grado di (ri)fare di Malpensa un hub, e quindi il maggiore «fatturato» di Malpensa solo in parte resterà in Italia, nei servizi aeroportuali e nell'indotto. Ma come potrà decollare Malpensa? Concentrando una grande quantità di voli di medio e breve raggio per coordinarli con i voli di lungo raggio offerti da molte compagnie italiane e straniere; per queste ultime - è stato sottolineato - dovrà essere liberalizzato il diritto alla «quinta libertà», che consente di caricare passeggeri anche in un aeroporto intermedio (esempio: Singapore-Milano-New York). Il presidente della Sea, Giuseppe Bonomi, non si nasconde che oggi, come allora, potrà esserci una guerra da parte delle compagnie europee, private di una grossa fonte di ricavi; ma ha anche osservato che ora non sussistono più i presupposti che avevano indotto Bruxelles a cassare il primo decreto Burlando: allora Malpensa non aveva sufficienti collegamenti via terra, non c'era il treno (inaugurato sei mesi dopo l'apertura, rispettando tempi e logiche della più fulgida efficienza italiana), e quindi i due aeroporti - Linate e Malpensa - non erano «sostituibili». Oggi questa condizione non esiste più, e quindi il «riordino» è possibile.

Anzi: Bruno Tabacci, assessore al Bilancio del Comune di Milano, azionista di maggioranza Sea, si è augurato che le proposte contenute nella ricerca Ambrosetti possano essere recepite nel piano industriale della società di gestione.

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