Economia

Alitalia, con le Fs e Atlantia la commedia diventa grottesca

Per salvare la compagnia aerea il governo ha prima pensato ai treni, e poi ai gestori del ponte Morandi

Alitalia, con le Fs e Atlantia la commedia diventa grottesca

Questa storia che riguarda l'ennesimo tentativo di salvataggio di Alitalia è grottesca. Partiamo dalle cose che sappiamo.

Sono almeno venti anni che la ex compagnia di bandiera perde a rotta di collo. Più che un malato terminale è un malato cronico. Bisogna, però, dire che la recente gestione fatta dai tre commissari (Luigi Gubitosi è stato sostituito in corsa) ha iniziato a dare i suoi risultati. La compagnia è diventata più puntuale, in realtà ha fatto come le concorrenti e cioè ha smesso di sottostimare la durata dei voli e ha di conseguenza pagato i suoi dipendenti. Il servizio è migliorato notevolmente sia sullo shuttle Roma-Milano, sia sulle, poche, tratte intercontinentali. Il personale di bordo è lontano anni luce dalla sciatteria che ha contraddistinto l'Alitalia pubblica. Insomma, la compagnia non è affatto male. E i conti, in rosso, sono perlomeno sotto controllo, rispetto alle fenomenali perdite degli ultimi decenni.

Ovviamente in un'azienda in cui una macchina costa quasi cento milioni, le scelte sbagliate del passato si pagano. Eccome. Ci sono alcuni aerei che sono stati acquistati negli anni scorsi e le cui rate iniziali sono state tenute artificialmente basse, mentre oggi paghiamo con gli interessi gli «sconti» di ieri. Anche Mazinga Z avrebbe difficoltà a far quadrare I conti. Non si riescono a cambiare le cose con la stessa velocità con la quale si rottamano le assurde divise imposte da Etihad. A cui ancora paghiamo un nuovo sistema software che fa impazzire anche un monaco buddista.

In questo scenario il comportamento del governo, anzi della sua componente grillina, è, appunto, grottesco. Per non dire altro. I gialli, in questo caso con i verdi leghisti, si sono detti convinti che l'Italia abbia la necessità di avere una compagnia aerea più o meno pubblica. Il che, se non avessimo un passato da far dimenticare, si potrebbe anche discutere. I calcoli di Mediobanca (a cui va sommato circa un altro un miliardo, pari alla sorte dell'ultimo prestito da 900 milioni con gli interessi del 10% maturati fino ad oggi) dicono che lo Stato ha immesso della società 8,5 miliardi di euro, il che equivale ad una tassa per ogni contribuente, infanti compresi, di 140 euro.

Ebbene, l'ideona del governo è fare una società unica con le Ferrovie dello Stato. Queste ultime sono state recentemente risanate. E invece di occuparsi dei fatti loro, sono costrette ad occuparsi di una materia che non conoscono affatto. Non fatevi ingannare: gestire le rotaie non è la stessa cosa che pianificare le rotte. Sono due mestieri diversi. Ma andateglielo a spiegare a Toninelli. I nuovi vertici delle Ferrovie, nominati dalla politica, non potevano mica ribaltare il tavolo. E da ottobre cercano in tutti i modi di uscirne fuori onorevolmente. Insieme con Mediobanca, che è l'advisor tecnico, stanno cercando un compromesso. Per farla breve, negli ultimi mesi hanno portato a casa una cordata in cui lo Stato nelle sue diverse articolazioni avrà la maggioranza. L'unico socio industriale è l'americana Delta, che in realtà prende una quota giusto per mantenere in piedi i suoi rapporti commerciali con i passeggeri Alitalia che arrivano in pochi aeroporti americani e da lì possono essere smistati.

Ma il colpo di genio è stato quello di chiedere ad Atlantia, la ricca holding, che controlla Autostrade e gli Aeroporti di Roma (dove è stato obiettivamente fatto un lavoro di ammodernamento magnifico), di entrare come socio. É stata sondata da Mediobanca, dai vertici delle Ferrovie e informalmente dagli attuali commissari. Una roba da matti. Il governo, che non ha il coraggio di chiamare, da una parte considera uno dei pochi grandi gruppi italiani alla stregua di un criminale, dall'altra pretende che gli risolva il problema Alitalia. Dopo il crollo del ponte Morandi, ha iniziato la procedura di revoca delle concessioni autostradali e, non contento, ha bloccato investimenti per cinque miliardi - ancora alla firma del progetto esecutivo dal ministro - sulla Gronda di Genova. Da una parte dà un cazzotto, magari meritato, a Castellucci, boss del gruppo; e dall'altra gli chiede di investire 300 milioni in un'azienda che sono quaranta anni che perde. Eddai. Se lo dite ai vostri figli non ci possono credere.

É vero, Castellucci è un arrogantone, sembra Briatore che dà della parvenue alla Ferragni, quando discute con il governo. Poco credibile, come interlocutore diplomatico. Ma l'azienda che guida è una delle poche star di questo Paese. Un tempo le sue autostrade sembrava venissero acquistate dagli spagnoli di Abertis: è finita che sono stati gli italiani a comprare. Ha una dimensione internazionale e gestisce complessità notevoli. E a ciò si aggiunge che non sarebbe il primo caso di un gestore di hub aeroportuale che ha anche un piede nella compagnia aerea che usa quello snodo. Certo sarebbe un problema per la concorrenza, per la Sea che ha gestito già il dehubbing di Malpensa, e ora si beccherebbe quest'altra mazzata, e per le compagnie internazionali alla ricerca di accordi bilaterali per arrivare in Italia.

Insomma, la vicenda è veramente complessa. Ma la cosa incredibile è l'improvvisazione con la quale la si sta gestendo. La vecchia politica forse era troppo arrogante, scollata dalla società civile. Ma non sarebbe mai stata così folle da gestire il dramma del ponte Morandi in modo così isterico e poco utile per chi ne paga le conseguenze dirette.

E per il sistema paese nel suo complesso.

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