Economia

Alitalia, ultima chiamata di Gentiloni

Il premier ai dipendenti: «Senza intesa sul piano, la compagnia non sopravviverà»

Camilla Conti

Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, scende in pista su Alitalia e fa capire che senza il sì dei lavoratori al referendum la compagnia vola dritta verso il fallimento.

«Mentre è in corso la consultazione sul pre-accordo raggiunto tra Alitalia e sindacati, - ha scritto in una nota il premier ieri sera - sento il dovere di ricordare a tutti la gravità della situazione in cui ci troviamo. Alitalia è una azienda privata. Di fronte alle sue perduranti e serie difficoltà il governo ha incoraggiato gli azionisti italiani e stranieri a impegnarsi in un nuovo piano industriale e in una forte ricapitalizzazione della società. So bene che ai dipendenti vengono chiesti sacrifici, ma so che senza l'intesa sul nuovo piano industriale l'Alitalia non potrà sopravvivere», ha aggiunto il premier.

L'appello di Gentiloni arriva dopo l'«ultima chiamata» del presidente in pectore della compagnia, Luigi Gubitosi, che venerdì lo aveva detto chiaramente: se prevale il no «non c'è un piano B» e si va al commissariamento dell'azienda. Ovvero verso un'agonia di almeno sei mesi prima della liquidazione che alzerebbe il costo per lo Stato, ovvero per noi contribuenti, a un miliardo di euro. Se invece vincerà il «sì» dei dipendenti al pre-accordo si sbloccherà l'aumento di capitale - 2 miliardi di equity di cui 900 milioni di nuova cassa - e si aprirà un cammino «difficile ma non impossibile», ha aggiunto Gubitosi, per far ripartire la compagnia puntando soprattutto sul lungo raggio con investimenti in nuovi aeromobili e una forte discontinuità con il passato. A cominciare dal top management.

Anche gli azionisti confermano le proprie preoccupazioni: nei giorni scorsi l'ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, ha invocato una «soluzione sostenibile in una prospettiva di lungo periodo», ricordando che in questi anni l'istituto non è mai venuto meno al proprio ruolo, ma ha visto andare in fumo molto denaro: «Abbiamo perso nel sostegno ad Alitalia 500 milioni in tre anni, una somma grande, non possiamo perdere altro», ha puntualizzato il banchiere il cui obiettivo è quello di proteggere gli interessi dei propri soci, che ormai sono per il 75% soggetti stranieri, poco sensibili dunque all'italianità della compagnia.

Intanto, oltre la metà dei 12.300 dipendenti ha già votato al referendum sul preaccordo che deciderà il destino del vettore. Al terzo giorno di consultazione interna venerdì sera, l'affluenza ai seggi (che sono in tutto sette, di cui cinque a Fiumicino e gli altri a Malpensa e Linate) è stata di circa del 55 per cento, come riporta Uiltrasporti. Le votazioni si chiuderanno alle 16 di domani, mentre mercoledì 26 aprile ci sarà un incontro al Ministero dello sviluppo economico tra l'azienda e i sindacati per analizzare i risultati del voto. Alla consultazione dovrebbero partecipare 1.500 piloti, 3.000 hostess e steward, 8.000 tra impiegati e dipendenti di terra.

Nel quesito si chiede ai lavoratori: «Sei favorevole al verbale di confronto sottoscritto con il governo e Alitalia in data 14 aprile 2017»? Se la risposta sarà no, la compagnia - e il governo - dovranno allacciarsi le cinture.

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