Economia

Allarme Bri sulla Cina: «Ha troppi debiti, una crisi è alle porte»

Si teme raffica di insolvenze, anche sui bond Ma le Borse rimbalzano (+1,2% Milano)

Rodolfo Parietti

Dopo la crisi della scorsa estate, la Cina è lentamente scivolata ai margini del radar dei mercati, più preoccupati a seguire le manovre delle banche centrali. Anche in queste ore, l'attenzione è infatti calamitata da ciò che domani potrebbero decidere la Fed e la Bank of Japan. L'andamento positivo di ieri delle Borse (+1,28% Milano) sembra avvalorare la sensazione che Janet Yellen rimanderà ancora il rialzo dei tassi e che da Tokio arriveranno ulteriori misure di stimolo sotto forma di un innalzamento a quota 90 mila miliardi di yen (circa 790 miliardi di euro) del piano di acquisto titoli.

Insomma, una prosecuzione delle politiche espansive, adottate peraltro anche da Pechino per sostenere un'economia in fase di rallentamento. Il Dragone ha spinto con decisione sul pedale dell'accesso al credito facilitato, generando però un'allarmante massa di debiti che secondo la Banca dei regolamenti internazionali (Bri) potrebbe esplodere e portare, entro i prossimi tre anni, a una crisi dalle conseguenze non facilmente prevedibili. A inquietare è soprattutto la differenza fra il ratio credito-Pil della Cina e la sua tendenza a lungo termine: nel primo trimestre ha raggiunto il 30,1%, un livello mai visto e tra volte superiore alla soglia del 10% considerata dalla Bri il limite oltre il quale un Paese è esposto a un rischio banche. Nonostante il tiro al bersaglio sugli istituti italiani, in Italia questo rapporto è negativo di circa 10 punti percentuali (lo stesso livello degli Usa), e in Gran Bretagna di oltre 30 punti.

Ciò che la banca centrale delle banche centrali teme è un'ondata di debiti non onorati da parte dei privati e una raffica di insolvenze sulle obbligazioni societarie di tale portata da innescare una crisi sistemica. Conferma Robin Parbrook, responsabile del settore azionario asiatico di Schroders: «La realtà è che non è cambiato nulla in Cina, men che meno la visione che abbiamo mantenuto saldamente nel corso degli ultimi cinque anni e cioè che le banche cinesi, in scia alla maggiore bolla del credito mai vista al mondo, siano ora sedute su una montagna di sofferenze che potrà essere ripulita a un costo pari al 30-50% del Pil». Senza un serio processo di riforme, prevede Parbrook, l'ex Celeste Impero si avvia verso una crisi finanziaria.

Altri sono i problemi per la Fed. Come mostra un'analisi del Wall Street Journal, quello su cui i governatori non trovano accordo è cosa succederà veramente all'inflazione una volta che il mercato del lavoro americano si sarà stabilizzato su livelli considerati ottimali. Un ulteriore calo dei disoccupati potrebbe infatti provocare una fiammata dei prezzi, pericolosa tanto quanto l'attuale condizione di inflazione sotto i target ottimali. Il sentiero lungo cui si muove il board è reso oltremodo stretto dai timori di perdere credibilità agli occhi dei mercati a causa dell'ondivago atteggiamento tenuto negli ultimi mesi da alcuni dei suoi membri su una questione delicatissima come la stretta al costo del denaro. La Fed potrebbe dunque avere domani la tentazione di forzare la mano, alzando i tassi soprattutto se le nuove previsioni economiche sosterranno questa decisione. Più probabile, però, che finisca per prevalere la strategia del wait and see.

A quel punto, il giro di vite arriverebbe in dicembre.

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