Economia

Anche la Bundesbank teme la Cina

Lo Yuan ferma la discesa ma i tedeschi lanciano l'allarme crescita. Borse Ue incerte, Milano meglio di altre

La volatilità e l'incertezza hanno dominato la prima seduta post ferragostana dove è bastata, a metà pomeriggio, la pubblicazione dell'indice manifatturiero di New York sensibilmente inferiore alle attese per far virare al ribasso l'andamento delle Borse europee. Tuttavia, dopo un primo sbandamento, le Piazze hanno riguadagnato terreno sostenute dal recupero di Wall Street (alle 20.30 il DJ era in rialzo dello 0,30%) che, a maggior ragione dopo la pubblicazione del pessimo dato macro, inizia a scommettere sul posticipo a fine anno del temuto rialzo dei tassi - il primo dal 2006 - previsto inizialmente per settembre. Il Ftse Mib ha quindi chiuso in rialzo dello 0,6, Parigi dello 0,5% mentre Londra ha terminato la giornata invariata. Tra le principali Borse europee solo Francoforte ha registrato un segno negativo (-0,4%). Lo spread Btp-Bund ha chiuso infine a 113 punti.

Più in dettaglio «l'indice manifatturiero (l'Empire Manufacturing) a cura della Fed di New York è precipitato ad agosto a - 14,92 punti dai 3,86 di luglio, ai minimi da aprile 2009 e ben peggio delle attese degli economisti che prevedevano una crescita di cinque punti», commenta Filippo Diodovich, di IG. Si tratta tuttavia di un indice che, come ammette lo stesso Diodovich, «non aveva mai avuto finora un particolare impatto sui mercati». Ma il dato si inserisce in un clima di fragilità particolarmente elevato che porta ancora i segni del quasi default della Grecia e della svalutazione dello yuan avviata, a sorpresa, la scorsa settimana e che, secondo quanto sostiene Francesco Leghissa, responsabile ufficio studi di Copernico Sim, potrebbe proseguire nei prossimi mesi ancora di altri 4-5 punti percentuali a dispetto delle dichiarazioni ufficiali rilasciate dalle istituzioni cinesi. La svalutazione, come riconosciuto dal bollettino mensile della Bundesbank, «prova l'incertezza» dell'economia cinese e rivela «rischi di un rallentamento maggiore» del previsto. «L'andamento dell'Empire Manufacturing è in definitiva solo l'ultimo di una serie di dati macro, europei, Usa e giapponesi (sempre ieri è stato rivelato il calo dell'1,6% del Pil di Tokyo registrato nel secondo trimestre, inferiore rispetto alle stime), che dovrebbero indurre a delle riflessioni. L'andamento ancora fragile dell'economia è poi dimostrato dalle débâcle delle materie prime e, in particolare, del greggio con il Brent sceso ieri vicino ai minimi degli ultimi sei anni (a 48,35 dollari a barile) che potrebbero peraltro essere ritoccati al ribasso in area 35-40 dollari», spiega Leghissa.

In questo scenario diventano ancor più cruciali i verbali del Fomc (il direttivo della Fed) e quelli relativi all'inflazione Usa, entrambi attesi per domani, da cui potrebbero emergere ulteriori indicazioni relativi alla futura politica monetaria della banca centrale americana.

Fitch, intanto, conferma le cautele: le prospettive dell'Eurozona a «lungo termine restano deboli» con una crescita del Pil di circa l'1,6% nel periodo 2015-2017. In questo contesto protagonisti della seduta milanese sono stati i titoli finanziari con Azimut in rialzo dell'1,9%, Ubi del 2,3% e Banco Popolare dell'1,4 per cento. In luce anche Atlantia (+1,6%), che ha beneficiato dell'aumento del 7% del traffico su Fiumicino da inizio anno rispetto al 2014, e Iren (+3,4%) in vista dello shopping previsto entro fine anno. Deboli invece, a seguito del nuovo scivolone del greggio, Eni (invariata) e la controllata Saipem (-0,4%).

Andamento contrastante, infine, per i titoli del lusso.

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