Economia

Banche di nuovo nel mirino. Chi è al sicuro e chi meno

Le regole Ue impongono un «cuscinetto» di risorse extra in caso di bail in. Riflettori su Bpm, Mps, Credem e Ubi

Banche di nuovo nel mirino. Chi è al sicuro e chi meno

Le banche della zona euro «non hanno fatto abbastanza progressi per aumentare il capitale per assorbire le perdite» in caso di risoluzione. A lanciare un nuovo avvertimento al settore è stato ieri il presidente dell'Autorità bancaria, europea, Andrea Enria.

La direttiva Brrd prevede, infatti, un requisito minimo di risorse patrimoniali per assicurare che ogni intermediario disponga di un ammontare adeguato di fondi e di altre passività in grado di assorbire le perdite e ricostituire il capitale. Ebbene, non tutte le banche secondo Enria hanno un cuscinetto abbastanza ampio, considerando l'aumento della volatilità e l'allargamento degli spread. Sia col bello, sia con il cattivo tempo, le banche devono infatti rispettare regole sempre più stringenti decise dai regolatori europei per ridurre al minimo i focolai di crisi: dalle norme sul capitale note come Basilea 4, all'addendum della Bce che prevede una stretta sugli accantonamenti, dalla Mifid2 sull'offerta di prodotti alla clientela, fino ad arrivare appunto ai nuovi requisiti minimi di capitale soggetti a bail-in: il Tlac (Total Loss Absorbing Capacity) per le banche considerate «sistemiche» e il cosiddetto Mrel (Minimum Requirement for Enligible Liabilities) per le «non sistemiche», che viene stabilito caso per caso.

Il numeretto monitorato per valutare la solidità di una banca è il Cet 1 ratio, ovvero il rapporto tra il capitale ordinario versato e le attività ponderate per il rischio. Per la Bce deve essere comunque sopra l'8% ma ogni banca a inizio anno riceve un livello minimo personalizzato (chiamato Srep) da rispettare oltre appunto ai «cuscini» aggiuntivi. Se viene sforata la soglia d'allarme monitorata da Francoforte, l'istituto deve rafforzare il patrimonio con un aumento di capitale.

Lo scorso 4 ottobre, la responsabile della Vigilanza della Bce, Daniele Nouy, ha detto che il Cet 1 Ratio medio di un gruppo di 95 istituti europei rilevanti è arrivato al 13,8% alla fine del secondo trimestre 2018, quando a fine giugno 2015 era dell'11,9%. Enria ieri ha sottolineato che il problema non riguarda le banche sistemiche, poichè sono sostanzialmente in linea con il requisito richiesto, ma altri istituti medio-grandi. In Italia tutte le banche (tranne Carige che entro fine novembre deve presentare i piani sul capitale) mantengono buffer di sicurezza rispetto ai requisiti Srep chiesti dalla Bce. Il problema è che considerando la mole di Btp in pancia agli istituti nostrani, più sale lo spread e più i margini si assottigliano. Soprattutto per chi ha una «comfort zone» più ristretta e dunque una coperta più corta. Prendiamo Mps: il Cet 1 del gruppo senese al 30 giugno è pari al 13%, rispetto ad un requisito Srep del 9,44%. Ma secondo gli analisti ogni singolo punto di spread erode 3,7 milioni di euro dal capitale del Monte. I riflettori dei broker di Citi sono accesi anche su Bpm, che per ogni 50 punti di spread in più vede calare il coefficiente sul capitale di 33 punti base, e su Ubi (28 punti). Così come il Credem, una delle banche più solide del sistema, ha avuto un impatto negativo di circa 60 punti base - uno dei più elevati - sul Cet1 (oggi al 13%) dall'aumento dello spread a quota 280. Il fatto è che nel secondo trimestre 2018 l'istituto ha aumentato del 40% la sua esposizione ai titoli di Stato italiani, passando da circa 1,95 a 2,77 miliardi. Ed è più sensibile a sbalzi improvvisi, perché ha inserito i Btp nei portafogli da vendere in caso di richiesta («Hold to collect and sell») che hanno un immediato impatto sul patrimonio.

Intanto, rispettare i requisiti dalle sigle impronunciabili richiesti in Europa rischia di trasferirsi sui nuovi prestiti: maggiore è il capitale per garantire come cuscinetto e minore è quello che può essere accantonato per gli impieghi.

Ossia per erogare credito a imprese e famiglie.

Commenti