Economia

Bufera su Fiat alla vigilia del recesso

Il Credit Suisse lancia l'ipotesi di un aumento di capitale e affossa il titolo (-3%), rendendo più attraente il rimborso

Bufera su Fiat alla vigilia del recesso

Torna la bufera su Fiat alla vigilia dell'ultimo giorno utile per esercitare il diritto di recesso. Un report di Credit Suisse - che ipotizza all'orizzonte un aumento di capitale e una debacle del titolo a 6 euro - ha messo la retromarcia al Lingotto dopo le due settimane in altalena innescate proprio dalla finestra prevista per gli azionisti Fiat che non vogliano prendere parte al progetto di integrazione con Chrysler (esercitando il diritto di farsi liquidare l'investimento). «Quella del recesso sembra essere stata l'occasione per qualcuno di speculare sul titolo» spiega un analista chiarendo che «l'ondata di vendite a orologeria che hanno colpito le azioni del Lingotto nelle ultime settimane potrebbero non essere casuali».

Dal primo agosto, giorno dell'assemblea che ha sancito la fusione Fiat-Chrysler, il titolo che quotava in area 7,1 euro ha iniziato a scendere fino ai 6,4 (il 6 agosto) per poi risalire in area 7,4 euro. Questo fino a ieri quando Fiat - che si stava avvicinando al prezzo dell'eventuale rimborso previsto dal recesso (7,72 euro) - è stata oggetto di una nuova ondata di vendite ed ha chiuso la seduta a 7,19 euro (-2,9%). «A ridosso dell'assemblea, e alla vigilia della chiusura della finestra utile per non aderire, sembra proprio che qualcuno abbia voluto giocare al ribasso sulla sensazione che il recesso possa convenire» commenta un analista sottolineando anche gli strani movimenti di Norges Bank sul titolo. La banca centrale norvegese, che nell'assemblea di inizio mese è stata l'investitore più importante a votare contro il progetto di fusione con Chrysler, ha venduto poco meno dell'1% il giorno prima dell'assemblea (passando dal 2,154% al 1,338%) per poi tornare sopra il 2% (2,016%) il 14 agosto. Cosa ha spinto un azionista così avvezzo a comprare e vendere pacchetti nelle quotate italiane (Safilo, Mondadori, Popolare Sondrio) a questo giochino sul titolo? Il giallo resta, ma guardando ai prezzi ai quali è avvenuto si può ipotizzare che Norges non lo abbia fatto per monetizzare, ma possa aver utilizzato parte dei titoli per aderire al recesso, e parte invece per tutelarsene. La discesa sotto il 2% è avvenuta infatti quando il titolo quotava tra 7,1-7,2 euro e il ritorno sopra la soglia rilevante quando l'azione era a 7,2-7,3 euro.

A conti fatti, oggi, a meno che il titolo non sia soggetto a un rimbalzo inatteso, le azioni Fiat resteranno probabilmente lontane dal prezzo di recesso, più o meno dove le ha «ricacciate» il Credit Suisse. Gli analisti svizzeri hanno abbassato il target di prezzo a 6 euro vedendo «poche opportunità positive» e prevedendo, con la quotazione negli Usa, «il primo passo per un aumento di capitale». Ma non finisce qui. «I punti di forza del gruppo (Jeep, Ferrari, Maserati ed Alfa) non sono sufficienti - spiegano - per affrontare i rischi a breve del mercato e un insostenibile livello di indebitamento di 9,7 miliardi». Inoltre, «il piano quinquennale fino al 2018 appare troppo ottimistico e c'è un potenziale ribasso delle stime sul 2014». In soffitta le ipotesi di fusione con Peugeot o Volkswagen mentre l'ipo Ferrari è ben vista, ma considerata poco probabile.

Report a parte, all'orizzonte una tegola potrebbe colpire il settore auto: il governo di Mosca potrebbe imporre restrizioni alle importazioni di auto dai Paesi occidentali, se Usa e Ue dovessero imporre nuove sanzioni.

Ma, per ora, non è questo a pesare sul titolo.

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