Economia

Carige: «Apollo ci svuotò la cassa»

L'atto di accusa contro il fondo americano che poi tentò la scalata

Lo scontro con Apollo sulle ex compagnie assicurative, l'azione di responsabilità verso gli ex vertici (Cesare Castelbarco Albani e Piero Montani, nonchè verso l'ex presidente Giovanni Berneschi), e i tempi dell'aumento di capitale da 450 milioni. Sono questi i tre temi che accenderanno l'assemblea dei soci di Carige fissata per martedì 28 marzo per approvare anche il bilancio 2016.

Entro la fine della settimana è attesa la decisione del Tribunale di Genova sulla richiesta d'urgenza presentata dal fondo Apollo per chiedere l'inibizione dei diritti di voto sul 17% detenuto da Malacalza Investimenti e, in subordine, la sterilizzazione delle posizioni superiori al 10,5 per cento. Ma l'accusa mossa dall'istituto ligure è altrettanto pesante: «Tra il 2014 e il 2016 Banca Carige ha subito una serie di iniziative aggressive e pregiudizievoli di alcuni soggetti appartenenti al gruppo che fa capo al fondo americano Apollo i quali, avvalendosi della negligenza o della condiscendenza di amministratori della stessa Carige hanno tratto enormi profitti con corrispondente impoverimento della banca e provocato ingenti danni alla società», si legge nell'atto di accusa con cui l'istituto ha deciso di citare in giudizio gli ex amministratori Castelbarco e Montani e il fondo di gestione americano chiedendo un risarcimento complessivo di 1,25 miliardi.

In particolare, nel documento di circa 70 pagine diffuso dal cda, gli attuali vertici della banca genovese affermano che «nel solo mese di dicembre 2015 soggetti riferibili ad Apollo effettuarono ingenti prelevamenti dai rispettivi conti correnti che comportarono una differenza a fine dicembre di circa 446 milioni». Poi Apollo si è proposto come salvatore offrendosi di acquistare crediti deteriorati e quote societarie in modo da diventare primo azionista e controllare l'istituto.

Secondo il cda, questa strategia è stata usata dal fondo americano per due anni: avrebbe avuto successo se nel frattempo la banca genovese non fosse finita sotto il controllo di imprenditori locali, tra i quali la famiglia Malacalza.

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