Economia

Carige, Malacalza si prepara alla resa

Il primo azionista rompe il silenzio e apre all'aumento dopo il «blitz» della Bce

Carige, Malacalza si prepara alla resa

La famiglia Malacalza torna a sedersi al tavolo di Carige, aprendo all'aumento di capitale, con una mossa che suona come una prima «resa» al pugno duro della Bce. Una lunga nota diffusa nel tardo pomeriggio di ieri ha infatti rotto il silenzio dopo il blitz della Vigilanza Ue che ha commissariato l'istituto ligure proprio per mettere all'angolo il primo azionista. Malacalza Investimenti (che possiede il 27,5% dell'istituto), garantisce «la propria posizione favorevole» alla ricapitalizzazione, ma agli «sforzi profusi e i sacrifici affrontati» dalla famiglia e dai piccoli azionisti «deve attribuirsi altissimo merito». A proposito di questo, pur continuando «fermamente ad auspicare» un «definitivo consolidamento patrimoniale» e un «rilancio industriale», i Malacalza si riserva anche «ogni altra considerazione anche all'esito di diretta, più ampia e approfondita conoscenza e valutazione della misura disposta» dalla Bce «e dei provvedimenti ad essa sottostanti che ad oggi non le sono ancora noti». In sostanza, se il piano industriale che rivedranno i tre commissari darà effettivi riscontri di successo, allora i Malacalza voteranno a favore facendo anche la loro parte con 110 milioni, in aggiunta ai 423 milioni già impegnati negli ultimi anni. Difficile, inoltre, che il patron Vittorio Malacalza decida di andare alla guerra con Francoforte impugnando il provvedimento che ha messo in amministrazione straordinaria la banca. Perchè la Vigilanza potrebbe contrattaccare contestandole una «funzione di direzione e coordinamento», che potrebbe comportare il consolidamento della quota di Carige nella cassaforte di famiglia.

I commissari - due dei quali (l'ex ad Fabio Innocenzi e l'ex presidente, Pietro Modiano), scelti al vertice dagli stessi Malacalza - sono al lavoro proprio sul nuovo piano nell'ottica di «possibili alleanze o partnership con altri istituti», ha ricordato Innocenzi che durante l'assemblea del 22 dicembre aveva già indicato in 2 miliardi la quota di capitale inespressa da liberare con una fusione. L'ex ad ha poi assicurato che per la banca ligure «non c'è un rischio di default o di bail-in» e che «l'obiettivo non è trovare chi pagherà il conto, ma che non ci sia un conto da pagare». Tema assai caro anche al governo. Mentre il titolo della banca resta sospeso a Piazza Affari, vanno infatti registrate le voci della politica. E in particolare quella di Luigi Di Maio costretto a «tifare» per Francoforte: «Per ora stiamo seguendo con molta attenzione, siamo fiduciosi», ha risposto ieri il viceministro, nonchè leader dei Cinque Stelle, a chi gli chiedeva la posizione del governo dopo il commissariamento. Anche Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, segue con attenzione gli sviluppi delle trattative auspicando «un dialogo fra i soci liguri della banca, in modo da creare un nocciolo duro di azionisti» per il futuro.

A tenere le dita incrociate è, infine, l'intero sistema bancario: la protezione dei depositi sotto 100 mila euro che scatterebbe in caso di una liquidazione coatta di Carige comporterebbe un costo complessivo di 9,4 miliardi per il Fondo di tutela (Fitd) partecipato dalla quasi totalità delle banche sane del sistema che hanno già sottoscritto un bond subordinato da 320 milioni necessario per colmare una carenza nei ratio di capitale dell'istituto.

Di certo, il tempo stringe: il mandato affidato da Bce ai commissari è trimestrale e quindi i passaggi essenziali per il salvataggio vanno impostati entro il 31 marzo.

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