Economia

Corsa degli indiani all'acciaio italiano

Dopo ArcelorMittal su Ilva, il gruppo Jsw punta su Lucchini: il made in Italy «pesante» piace e costa poco

L'India fa shopping nelle acciaierie italiane, a prezzo di saldo. Sajjan Jindal, presidente del colosso Jsw, è ormai a un passo dall'acquisto del gruppo Lucchini per «una somma simbolica», come si legge in un articolo in prima pagina sul Financial Times . In cambio della quale il miliardario indiano farà il suo ingresso a pieno titolo nell'economia europea, e in un settore in cui il nostro Paese vanta una produzione di alta qualità. Che infatti interessa anche al primo gruppo mondiale dell'acciaio, il franco-indiano ArcelorMittal, da tempo in trattative per l'Ilva di Taranto. Qui non si conosce l'entità dell'offerta: ma certamente sulla vendita peserà il costo del severo piano di risanamento ambientale, imposto dal governo che ha commissariato l'azienda della famiglia Riva. Come nota il quotidiano della City, gli stessi report delle banche «segnalano che i prezzi dei beni sono bassi, rendendo l'Italia un attraente trampolino» verso il Vecchio Continente. Bassi investimenti, risultati strategici: si spiega così l'interesse da parte dell'India, Paese emergente dove il mercato dell'acciaio è strategico.

La domanda è destinata ad aumentare: l'elasticità dei consumi dell'acciaio rispetto alla dinamica del Pil è infatti pari a 1,1%, stima l'Istituto indiano per lo sviluppo del settore. Prevedendo, quindi - come fa l'Oxford Economics - una crescita dell'economia indiana a un tasso medio annuale del 6% fino al 2018, la domanda di acciaio dovrebbe aumentare del 6,6%. Troppo per la produzione domestica, benchè l'India sia il quarto produttore mondiale. Tanto più che, nonostante il basso costo della manodopera e gli abbondanti giacimenti di ferro- principale componente dell'acciaio- , le imprese devono comunque importare energia e alcune materie prime come il carbon coke, e i costi di produzione sono aumentati a causa della recente svalutazione della rupia.

Da qui l'interesse per gli altiforni italiani: e potrebbe diventare l'ancora di salvezza per corazzate industriali, un tempo gloriose, che oggi faticano a tenersi a galla. Tra il 2007 e il 2013 l'occupazione nel settore dell'acciaio è scesa dell'8,1% e il ricorso agli ammortizzatori sociali è ormai endemico. L'Ilva, da numero uno della siderurgia italiana, è precipitata al fondo della classifica mondiale dei produttori, travolta dalla crisi ambientale ma anche finanziaria: e vana si è rivelata per la Lucchini- passata dai russi della Severstal al tribunale fallimentare dopo il crac del 2012 - la speranza di una remunerativa rottamazione a Piombino della Costa Concordia.

Così, i colossi indiani puntano a comprare «in saldo» i marchi storici del made in Italy. Che, come ben sanno, è un passaporto di qualità superiore, non solo nella moda: anche nella siderurgia. Il nostro acciaio è molto apprezzato nel mondo, tanto che quasi tutto quel che esce dagli stabilimenti viene esportato. Quello che oggi è richiesto, infatti, è un materiale ad altissimo contenuto tecnologico: ogni applicazione industriale richiede una diversa qualità di prodotto. Se confrontiamo un'automobile dell'ultima generazione con quelle di alcuni anni fa, vediamo che non c'è un solo tipo di acciaio, ma diversi, tutti con caratteristiche peculiari.

Segreti industriali che la concorrenza cerca di strappare ad ogni costo: come ha dimostrato, mesi fa, la condanna a 10 milioni di risarcimento per il gruppo indiano Viraj che,grazie a un manager infedele, aveva copiato un prodotto esclusivo delle Acciaierie Valbruna di Vicenza.

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