Economia

"La crisi non è finita, per la ripresa dovremo aspettare altri 10 anni"

Il presidente di Confesercenti, Massimo Vivoli, analizza l’emorragia di attività nel commercio

"La crisi non è finita, per la ripresa dovremo aspettare altri 10 anni"

Il presidente di Confesercenti, Massimo Vivoli, analizza l’emorragia di attività nel commercio: «Consumi bloccati, tasse e burocrazia hanno messo in ginocchio interi settori, come l’abbigliamento. Aumentano invece gli ambulanti, soprattutto stranieri»

Quasi 25mila imprese in meno nel saldo delle imprese attive nel commercio al dettaglio nel 2014, altre 10.600 in meno solo nei primi quattro mesi del 2015. Massimo Vivoli, presidente di Confesercenti, quali sono le principali cause di questa emorragia che non si arresta?

«In primo luogo crisi del mercato interno, che ancora non è terminata. E che è stata devastante: tra il 2012 ed il 2014, i consumi delle famiglie sono diminuiti di circa 60 miliardi di euro. L’equivalente del Pil del Lussemburgo. Il commercio, però, sconta anche altri fattori negativi. Come l’abusivismo commerciale, un fenomeno che distorce il mercato e che ha raggiunto livelli ormai insostenibili. Ma pesa anche l’eccesso di burocrazia e di tasse».

Quali sono le categorie più «in via d'estinzione» nel panorama commerciale delle nostre città? E in provincia?

«Particolarmente notevole è stata la crisi dei negozi di moda. Tra gennaio e aprile di quest’anno hanno cessato l’attività più di mille negozi al mese. Ma hanno sofferto moltissimo anche gli imprenditori attivi nella vendita di sigarette elettroniche, che in due anni sono passati da 3mila a poco più di mille. Il processo è più forte che mai in provincia, in tutte le categorie, in particolar modo per moda e alimentari. I negozi di articoli per fumatori di provincia, invece, sembrano soffrire meno di quelli cittadini».

Chi, invece, cresce nonostante la crisi? Dalle vostre rilevazioni, in particolare, emerge l'aumento di esercizi ambulanti, soprattutto gestiti da titolari stranieri. Come interpretate tale tendenza?

«A crescere sono soprattutto il franchising, i negozi specializzati in prodotti bio e il commercio su area pubblica. Parte del boom dell’ambulantato è attribuibile alla crisi: per un’attività su area pubblica servono in genere meno investimenti. Molto, però, hanno concorso gli stranieri per i quali la formula rappresenta una delle strade d’integrazione più semplici, con alcune etnie che si affermano in settori specifici. Il fenomeno non va letto solo in senso negativo anche se resta anomalo rispetto al quadro congiunturale del Paese».

Quanto pesa su questa situazione l'attuale livello di tassazione su negozi e altre attività, comprese le tasse legate al possesso o all'uso dei locali commerciali (ad esempio Imu e Tari)?

«Pesa moltissimo. Basti pensare alle tariffe rifiuti: il servizio è decisamente inefficiente nella maggior parte dei comuni italiani, ma nonostante questo non si smette di stangare. E la Tari ha comportato per le imprese di commercio e turismo ad incrementi anche del 400%. Stesso discorso per l’occupazione suolo pubblico: a Viareggio si arriva a pagare oltre 25mila euro l’anno».

Cosa può fare il governo per cercare di invertire la rotta?

«Non solo il governo, ma tutti devono lavorare insieme per trasformare l’inversione di tendenza in una ripresa che si trasferisca anche al mercato interno. Operando sul fronte fiscale, riducendo il peso che grava su imprese e famiglie; ma anche intervenendo per sbloccare il credito a Pmi e famiglie».

Secondo le vostre stime, quando in Italia si potrà davvero parlare di ripresa?

«Se si continua così, altro che 2016… Dovremo attendere anche dieci anni.

E questo considerando un quadro internazionale positivo».

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