Economia

Dall'Fmi nuove pressioni sulle banche

"Sforzi fatti insufficienti: ancora troppo alte le sofferenze, pari al 10% dei prestiti"

Dall'Fmi nuove pressioni sulle banche

Il Fondo monetario internazionale mette il dito nella piaga delle sofferenze bancarie italiano, un elemento di vulnerabilità reso oltremodo delicato dalla nuove norme imposte dalla Bce. In un capitolo del World economic outlook dedicato ai non performing loan (npl), l'organizzazione guidata da Christine Lagarde riconosce che il nostro sistema creditizio ha compiuto «molti progressi» nell'azione di pulizia dei bilanci ed è per questo «più stabile», ma gli sforzi risultano ancora insufficienti. A dirlo sono i numeri, e in particolare il raffronto con l'eurozona dove il rapporto tra crediti di difficile riscossione e prestiti, nel primo trimestre del 2017, si ferma al 5,7% contro il 10% dell'Italia, appesantita peraltro da uno stock pari al 30% del totale degli npl di Eurolandia. Le percentuali dell'Fmi non coincidono tuttavia con quelle contenute in un recente rapporto dell'Abi che collocano sotto il 4%, un valore dunque più prossimo alla media europea del 3%, i crediti deteriorati. Bankitalia ha intanto reso noto ieri che le sofferenze lorde in agosto sono scese a 172,4 miliardi dai 173,13 miliardi di luglio.

È quindi possibile che le valutazioni dell'organizzazione di Washington siano inficiate da un'analisi basata sulla situazione esistente tra gennaio e marzo di quest'anno, poi migliorata nei mesi successivi. In ogni caso, resta condivisibile l'invito - rivolto non solo agli istituti tricolori - a «uno sforzo maggiore per ripulire i bilanci e migliorare l'efficienza nei costi». A imporre maggior rigore, ricorda il Fondo, è l'attuale situazione connotata da una scarsa redditività destinata a non migliorare «neppure entro il 2019». Il World economic outlook non entra nella querelle secondo la quale sarebbe la politica Zirp della Bce, cioè dei tassi azzerati, a picconare la profittabilità: si limita semplicemente a osservare che bassi utili «minano la capacità delle banche di costruire cuscinetti per fronteggiare perdite inattese o di raccogliere capitale sul mercato». È un principio universale, valido per tutte. Ma il capo economista del Fondo Maurice Obstfeld posa la lente proprio sull'Italia: la quota degli Npl, «deve certamente essere ridotta. Questo è ovviamente doloroso per le banche, ma abbiamo visto alcuni istituti, come Unicredit, che sono stati in grado di raccogliere capitale e ciò è un buon segno».

La strada indicata dal Fondo è quindi una sola: ripulire i bilanci dalle tossine. Anche per impedire che «possano riemergere timori in alcune zone dell'area dell'euro circa la stabilità finanziaria», con ricadute negative sotto forma di un aumento dei tassi che peggiorerebbe il debito pubblico.

Debito italiano che l'Fmi prevede in salita al 133% del Pil nel 2017, dal 132,6% del 2016, per poi ricominciare a scendere al 131,4% nel 2018. Dopo la revisione attuata a luglio scorso, viene invece rivista al rialzo, all'1,5%, la crescita per quest'anno e all'1,1% quella per il prossimo. Si tratta - rispetto alle previsioni di tre mesi fa - di un rialzo di 0,2 punti per il 2017 e di 0,1 punti per il 2018. La penisola resta comunque il Paese dei G-7 con l'andamento più debole. Queste stime rischiano però di rivelarsi ottimistiche se saranno confermati i timori di quanti sono convinti che la stretta della Bce sugli npl si tradurrà in una strozzatura nei prestiti con riflessi sul Pil.

Anche ieri, il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, è infatti tornato a mettere in guardia dai possibili rischi legati a un'«accelerazione eccessiva nella riduzione delle sofferenze».

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