Economia

Dazi, tra Usa e Cina partita di poker

Trump: «Pechino vuole trattare». La replica: «Non cediamo». Ma i mercati credono all'intesa

Dazi, tra Usa e Cina partita di poker

Una rapida occhiata ai futures di Wall Street, che promettevano un'altra seduta da tregenda dopo quella di venerdì scorso, poi la decisione di rompere gli indugi: La Cina ha telefonato due volte la scorsa notte ai nostri negoziatori per il commercio e ha chiesto di tornare al tavolo delle trattative, cosa che faremo. Vogliamo cominciare a trattare molto seriamente.

Durante i lavori del G7 a Biarritz, in Francia, Donald Trump si ritaglia uno spazio per dire ciò che i mercati vogliono sentirsi dire: stremata dallo stillicidio di dazi, Pechino ha alzato bandiera bianca. Una resa quasi incondizionata: al punto in cui è giunta la partita a scacchi fra le due super-potenze, chi fa la prima mossa rischia lo scacco matto. E, infatti, con il profumo di capitolazione nell'aria, l'umore delle Borse migliora subito. Non passa però neppure un'ora dalle parole pronunciate dal tycoon, e il portavoce del ministero del Commercio cinese smentisce che via siano state telefonate fra le parti.

E perfino più glaciale è la replica via Twitter di Hu Xijin, direttore del Global Times (un tabloid controllato dal Partito comunista cinese), nonché una delle voci più ascoltate dai trader di New York: Sulla base di quello che so, i negoziatori cinesi e statunitensi non hanno tenuto colloqui telefonici negli ultimi giorni. Le due parti hanno mantenuto i contatti a livello tecnico, ma ciò non ha il significato attribuitogli dal presidente Trump. La Cina non ha cambiato posizione. La Cina non cederà alle pressioni statunitensi.

The Donald, con accanto un imbarazzato segretario al Commercio, Steve Mnuchin, è così costretto più tardi a trovare una scappatoia per non mettere di nuovo in allarme i mercati. Non voglio parlare di chiamate. Abbiano ricevuto chiamate ai massimi livelli, ma non voglio parlarne. Il vicepresidente cinese ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma di voler fare un accordo. Chiaro il riferimento a Liu He, che alla cerimonia di apertura della Smart China Expo 2019 a Chongqing, aveva spiegato che siamo disposti a risolvere il problema commerciale attraverso la consultazione e la cooperazione con un atteggiamento calmo. Siamo fermamente contrari all'escalation della guerra commerciale.

E' dall'atteggiamento da colomba di Pechino che i mercati hanno ieri trovato conforto, permettendo a Wall Street di risalire dell'1% a un'ora dalla chiusura e all'Europa di chiudere in rialzo (+0,99% Milano). Una sorta di mano tesa destinata probabilmente a non alzare ulteriormente il livello dello scontro dopo i dazi annunciati lo scorso venerdì dal Dragone su 75 miliardi di dollari di merci Usa, ai quali l'America aveva subito risposto minacciando l'ennesimo round di tariffe punitive scaglionate fra l'inizio di settembre e la metà di dicembre. Ma il fronte valutario, dove lo yuan è precipitato ai livelli più bassi da febbraio 2008 contro il dollaro (a quota 7,15) senza nessun intervento calmieratore da parte della People's Bank of China, è il segnale della volontà di Pechino di tenere aperto questo canale come strumento di pressione sugli Stati Uniti. Trump mal sopporta gli attuali livelli del biglietto verde, un altro degli alibi pronti all'uso per attaccare una Federal Reserve riluttante ad azzerare i tassi. Un greenback meno ipertrofico e una Wall Street in salute sono del resto le condizioni fondamentali per strappare una riconferma alla Casa Bianca. Anche a costo di raccontare qualche balla, memore del fatto che una telefonata allunga la vita.

Presidenziale.

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