Economia

La dimensione globale della lotta al crimine economico

Le autorità hanno stabilito un sistema di prevenzione a cui devono partecipare istituzioni pubbliche e private. Comprese le banche, “porta d’ingresso” dei capitali nell’economia. Come far funzionare meglio i meccanismi di controllo e di antiriciclaggio? Se ne è parlato in un dibattito organizzato da Nifa con BancaFinanza presso l’Abi

La dimensione globale della lotta al crimine economico

Il contrasto alla criminalità economica è un tema complesso e presenta molte sfaccettature. Per cercare di comprenderlo, quindi, occorre il contributo di esperti di diversa estrazione professionale e culturale. Uomini di legge, naturalmente. Ma anche esponenti del credito, che è uno dei canali preferenziali utilizzati dalla malavita. Senza tralasciare, naturalmente, l’aspetto etico. A questo bisogna aggiungere la dimensione sia nazionale, sia internazionale della criminalità economica. Con conseguenze certamente non irrilevanti nell’organizzazione di strategie adeguate di prevenzione e di contrasto. Per cercare di valutare meglio il perimetro della criminalità economica e ottenere risposte a interrogativi che minacciano l’equilibrio delle società civili, oltre che dei sistemi finanziari nazionali e internazionali, Nifa (New international finance association) e BancaFinanza hanno organizzato una tavola rotonda. Il dibattito, che ha puntato a far emergere i legami tra criminalità economica e intermediazione bancaria e finanziaria, è stato coordinato da Angela Maria Scullica, direttore di BancaFinanza, Giornale delle Assicurazioni ed Espansione, e da Filippo Cucuccio, giornalista e direttore generale dell’Associazione nazionale per lo studio dei problemi del credito. Hanno partecipato: Claudio Clemente, direttore dell’unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia; Daniela Condò, avvocato, che ha partecipato a titolo personale; Paolo Ielo, sostituto procuratore della repubblica di Roma; Monsignor Lorenzo Leuzzi, Vescovo ausiliare di Roma, delegato per la Pastorale universitaria; Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi; Giusto Sciacchitano, procuratore generale antimafia aggiunto; Domenico Siclari, professore di diritto dell’Economia e dei mercati finanziari all’università La Sapienza di Roma e responsabile per gli affari legislativi e parlamentari in materia creditizia e finanziaria del Gabinetto del ministro dell’Economia e delle Finanze. Carmelo Barbagallo, direttore per la vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, impegnato in riunione istituzionale concomitante alla Bce, ha inviato un testo da cui sono state tratte, liberamente, le risposte.

Domanda. In che modo gli operatori bancari e finanziari possono contrastare le infiltrazioni della criminalità?

Barbagallo. Gli intermediari sono direttamente coinvolti nei processi di trasferimento delle risorse finanziarie. Questa centralità li mette nella condizione di intercettare provenienza e destinazione dei flussi finanziari che vengono generati nel sistema economico. Si sottraggono a questo monitoraggio i trasferimenti che si realizzano attraverso il passaggio diretto di contante tra privati, unico canale di trasferimento non tracciabile della ricchezza finanziaria. Tutti i reati che richiedono, producono o implicano spostamenti di ricchezza finanziaria hanno bisogno di accedere in qualche modo al sistema dell’intermediazione. Questa esigenza è accentuata dai più stringenti vincoli normativi all’uso del cash e dal fatto che il contante mal si presta alla gestione di flussi finanziari rilevanti e articolati. Quest’ultima considerazione è particolarmente appropriata per il crimine organizzato, che si svolge in forme (e presenta esigenze) simili alle attività imprenditoriali lecite. E può raggiungere complessità organizzative e numero di “addetti” assai elevati con ramificazioni anche all’estero. È ormai consolidata la convinzione che il settore finanziario possa essere un importante alleato nella lotta al crimine. Dalla metà degli anni Ottanta, le tecniche di polizia investigativa hanno sempre più spesso utilizzato le indagini finanziarie per colpire, attraverso il tracciamento dei flussi di denaro sporco, l’attività criminale.

D. Entriamo nello specifico del ruolo strategico del sistema finanziario nella lotta al crimine.

Clemente. Per contrastare l’utilizzo di proventi di iniziative criminali è stato necessario mettere a punto un sistema adeguato di prevenzione fondato sull’azione congiunta di autorità pubbliche e operatori privati. Un sistema in grado di intercettare prima possibile le infiltrazioni criminali nel sistema economico legale. Gli approfondimenti di natura finanziaria sono stati affidati all’Uif (Unità di informazione finanziaria per l’Italia), che è al centro del meccanismo di prevenzione. La Uif è istituita presso la Banca d’Italia, nel rispetto dei principi internazionali che prevedono la creazione, nei singoli stati, di agenzie nazionali di antiriciclaggio, le Financial intelligence unit (Fiu). Queste sono dotate di piena autonomia operativa e gestionale e specializzate nell’analisi finanziaria delle informazioni relative a possibili casi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Tra i diversi modelli di Fiu presenti nel panorama internazionale, l’Italia ha optato per un organismo di tipo amministrativo, caratterizzato da autonomia e indipendenza funzionale. Che si rivela particolarmente idoneo a valorizzare e distinguere l’approfondimento finanziario delle segnalazioni rispetto all’analisi investigativa. La Uif è un’autorità di intelligence: quindi riceve e acquisisce informazioni contenute nelle segnalazioni di operazioni sospette, ne effettua l’analisi finanziaria e ne valuta la rilevanza per la trasmissione agli organi competenti investigativi, per l’eventuale sviluppo dell’azione di repressione. Il legislatore italiano ha previsto che i destinatari degli obblighi antiriciclaggio siano tenuti a inviare la segnalazione alla Uif quando «sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo». La segnalazione, che non deriva necessariamente dalla conoscenza di un reato, costituisce il risultato di una valutazione tecnica fondata su circostanze obiettive. E non comporta alcuna violazione degli obblighi di riservatezza e del segreto professionale.

D. Quali sono le conseguenze della lotta alla criminalità sul sistema bancario?

Sabatini. L’impegno del settore bancario nella lotta alla criminalità economica può essere sintetizzato ricordando due aspetti. Il primo è quello dell’antiriciclaggio e delle segnalazioni sospette. Su questo fronte vorrei rivendicare il nostro ruolo: i dati di Banca d’Italia ci dicono che nel secondo semestre del 2012 gli intermediari finanziari hanno inviato 31.492 segnalazioni sul totale di 32.641 (i professionisti e gli operatori non finanziari ne hanno inoltrate 1.259). Su base annua, nel 2012 (ultimo dato disponibile) si è arrivati a circa 67 mila segnalazioni; nel 2008 ne erano state inoltrate meno di 15 mila. Alla luce di questi dati c’è anche il problema dei costi elevati che il sistema bancario deve sostenere per adempiere a questi compiti. E la conseguente necessità di ricercare un giusto bilanciamento tra spese e benefici. Bene: questi costi potrebbero diminuire se ci si organizzasse in maniera diversa. Un esempio. Che cosa prevede la normativa europea in materia di antiriciclaggio? Che gli stati membri impongano ai loro enti creditizi e finanziari di dotarsi di sistemi per rispondere a qualsiasi domanda di informazioni dell’Uif, o di qualsiasi altra autorità, sui rapporti d’affari intrattenuti negli ultimi cinque anni con determinate persone fisiche o giuridiche.La normativa nazionale ha recepito quest’obbligo imponendo alle banche e agli intermediari finanziari l’istituzione di un archivio unico informatico, dettando regole e tempistica anche di registrazione; ha anche previsto uno specifico sistema sanzionatorio per le violazioni a questi obblighi. Ebbene: l’obbligo di istituire e tenere in un certo modo l’archivio unico informatico costituisce un unicum nel panorama europeo. A mio avviso, la normativa potrebbe essere rispettata senza imporre la raccolta dei dati in specifiche architetture informatiche. E le sanzioni specifiche potrebbero essere eliminate: in questo modo si ridurrebbero i costi di adempimento. La seconda questione è invece quella dei beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali: qui, come sapete c’è un problema di tutela degli interessi di terzi. Si tratta, dunque, di coniugare le esigenze sociali alle quali tutti siamo legati con quelle di chi - in questo caso le banche - ha un interesse specifico che consiste nel riavere i soldi dati in prestito (soldi che - è bene ricordarlo - sono dei depositanti). Il Codice antimafia ha sancito il principio della tutela dei diritti dei creditori in buona fede; tuttavia, si sono poi sviluppati interventi normativi che riducono sempre più i margini di recupero del credito. Per esempio: la legge di stabilità 2014 ha limitato la misura degli interessi dovuti sui crediti e ridotto la garanzia patrimoniale dello stato prevista dal codice per soddisfare i crediti precedenti al sequestro antimafia. Nel 2012 l’associazione ha sottoscritto con il Tribunale di Milano, insieme ad altre istituzioni, un “protocollo d’intesa per la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”. Con questa sottoscrizione, il settore bancario si è posto nell’ottica di adottare iniziative di supporto ai beni e alle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata per gestire questi beni immobili «anche al fine di incrementarne la redditività e per agevolare la eventuale successiva devoluzione allo stato liberi da oneri e da pesi».

Condò. È vero: le banche hanno un ruolo centrale e nevralgico di contrasto e prevenzione della criminalità economica. In questa ottica appare del tutto logico che le aziende di credito debbano dotarsi di adeguati presidi organizzativi di conformità normativa, come la funzione di compliance e soprattutto di antiriciclaggio, indispensabili a impedire un nuovo flusso di denaro proveniente da attività criminali. Si tratta di un compito particolarmente arduo, anche per la dimensione che il fenomeno criminale è andato assumendo nel corso degli ultimi anni. Senza scendere in valutazioni legate al tema dello shadow banking (che, nella mia convinzione, rimane un terreno da esplorare e monitorare con maggiore attenzione ed efficacia da parte delle autorità competenti), mi limito a richiamare alcuni dati resi noti proprio alla vigilia di questa tavola rotonda dalla Guardia di finanza. Lo scorso anno sono stati sequestrati patrimoni per 3 miliardi di euro con una crescita del 73% rispetto alla quota registrata nel 2012. Passando, poi, al tema più specifico del riciclaggio si apprende dalla stessa fonte che sono stati sequestrati beni per 49 milioni di euro e che sono state oltre 13.500 le segnalazioni di operazioni sospette. Ricordo che i finanzieri hanno accertato, tra le tecniche più utilizzate per il riciclaggio di denaro, l’utilizzo di banconote di grosso taglio, la creazione di trust, società fiduciarie e società anonime, il frazionamento di operazioni finanziarie attraverso i money transfer e via dicendo. Tutte tecniche, queste, che hanno consentito di reinvestire l’ingente somma di 3,4 miliardi di euro, con una crescita del 29%. Quanto ho appena accennato giustifica pienamente l’attenzione normativa riservata in Italia al contrasto del fenomeno del riciclaggio. In sintesi, non potendomi dilungare su aspetti di dettaglio, il passaggio da un approccio rule based a o risk based, coerente all’evoluzione normativa intervenuta nel frattempo, ha determinato un impatto accentuato in termini di aggiornamento e rafforzamento del sistema dei controlli interni delle banche per contrasto e prevenzione del riciclaggio. Qualche parola anche sul provvedimento della Banca d’Italia del marzo 2011, la cui applicazione ha determinato negli istituti di credito sia la responsabilizzazione di tutta la struttura aziendale (dagli organi di vertice fino alle strutture periferiche e ai collaboratori esterni), sia la formazione di una specifica funzione antiriciclaggio con nomina di un responsabile. In base a questa normativa la partecipazione attiva delle banche (e degli altri intermediari) richiede l’adozione di procedure, politiche e sistemi di controllo per attuare un modello organizzativo fondato sulla valutazione interna del rischio. La cui individuazione espone la banca a considerevoli impatti. Non solo legali, ma anche reputazionali.

Sciacchitano. La lotta alla criminalità organizzata oggi si deve intendere soprattutto come lotta alla criminalità economica. Questa, infatti, va considerata parte integrante e indispensabile della strategia di contrasto al crimine organizzato. Questo principio deve essere applicato alla criminalità organizzata come tale, non distinguendo tra quella nazionale e quella transnazionale, applicando in ogni caso i principi della Convenzione Onu di Palermo 2000, e tendendo a realizzare norme omogenee almeno in ambiti regionali. La criminalità organizzata è quasi il lato oscuro della globalizzazione: cresce nei paesi ricchi e in quelli in via di sviluppo, si avvantaggia in alcuni casi delle enormi ricchezze accumulate illecitamente e, in altri, delle fragili economie; trae spesso profitti da legislazioni carenti e dai pochi rischi che corrono coloro che gestiscono i molteplici e diversi traffici illeciti. I campi di azione di questa criminalità si fanno sentire non solo “dentro” gli stati, con effetti dirompenti per la legalità, l’ordine pubblico, il corretto sviluppo dell’economia, ma anche “oltre” gli stati, con la realizzazione di una rete che avvolge i continenti, attraverso la quale fare transitare i traffici illeciti di varia natura. Ma adesso i teatri operativi si dirigono “contro” gli stati, giungendo fino alle forme di impresa criminale multinazionale che agisce senza regole, senza limiti, così da attaccare gravemente lo stesso esercizio della sovranità statale. Tutto questo naturalmente è avvenuto gradualmente nel tempo, e la criminalità ha goduto della mancata vigilanza delle diverse autorità nazionali verso un fenomeno sempre più emergente. Ci siamo chiesti in un recente passato se l’Europa era a rischio criminalità. E le indagini giudiziarie in vari paesi evidenziano, con grande allarme, il pericolo rappresentato sia dall’infiltrazione della ’ndrangheta in molti paesi europei, sia dal sistema di reti creato dalla criminalità nell’Europa centro-orientale e dalla sua persistente infiltrazione nei paesi dell’Europa occidentale, e il contemporaneo aggravarsi della criminalità nigeriana che riversa in Italia e in Europa sempre più droga e vittime di tratta di esseri umani. Questi traffici producono ingenti guadagni che i trafficanti depositano in paesi dove è facile nasconderli. In materia di sequestro e confisca di beni illeciti, l’Italia ha una buona legislazione, specie con le norme introdotte con il Codice antimafia del 2011. Il problema si sposta ora sulla fase successiva alla confisca, cioè all’utilizzo vero e concreto dei beni, perché vengano destinati alla pubblica utilità. È stata costituita a questo scopo l’agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. Che già opera, pur non essendo stato ancora completato l’organigramma del consiglio direttivo (mancano i due componenti di nomina governativa). Sono in via di realizzazione le linee guida che dovrebbero regolamentare i rapporti tra questa agenzia e i tribunali, che applicano il sequestro e la confisca, per la gestione dei beni. Ma c’è ancora molto da fare.

Siclari. Recenti studi dimostrano che nelle economie dove maggiore è l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, minore è l’incidenza dell’economia sommersa. L’Italia ha il primato, fra i paesi dell’Europa continentale, della quota di transazioni che vengono regolate con pagamenti in contanti e quello dell’incidenza dell’economia sommersa sul Pil (349 miliardi di euro l’anno, pari al 24%, mentre nella Ue 27 si raggiungono i 2.000 miliardi, circa il 18% del prodotto interno lordo). Da ultimo, una recente ricerca ha stimato l’economia sommersa proponendo una reinterpretazione del metodo noto come currency demand approach. Questa tecnica si basa sull’ipotesi che gli scambi al di fuori dell’economia regolare ricorrano in larga misura all’utilizzo del contante, per evitarne la tracciabilità. Queste transazioni possono riferirsi, sia ad attività legali, che vengono tenute nascoste principalmente per evitare il pagamento di imposte e contributi (economia sommersa), sia ad attività vietate dalla legge (economia illegale). La nuova metodologia è stata applicata a un campione di 91 province italiane per il quadriennio 2005-2008. Dai risultati emerge un’incidenza media dell’economia sommersa e di quella illegale pari rispettivamente al 16,5% e al 10,9% del Pil. Si ha, quindi, un totale del 27,4% di economia sommersa. I dati riferiti al solo 2008 indicano che il dato totale si è attestato al 31,1%, sommando il 18,5% del Pil dell’economia che sfugge al fisco e il 12,6% legato a chi viola la legge commettendo reati penali. Questo incremento si può probabilmente spiegare considerando i primi effetti della crisi finanziaria iniziata nel 2007, che ha provocato un deciso rallentamento nei consumi e negli investimenti, con un deterioramento del mercato nella fiducia delle imprese. Per quanto riguarda, poi, la disaggregazione delle stime a livello territoriale, lo studio mette in luce un divario significativo tra centro-nord e sud, in controtendenza rispetto all’opinione largamente diffusa secondo cui è dal Mezzogiorno che deriverebbe il principale contributo alla formazione della nostra economia sommersa. Il dato forse si giustifica, per chi ha condotto la ricerca, con il fatto che «l’utilizzo di contante per transazioni illegali riguarda specificamente attività criminali (traffico di stupefacenti e prostituzione) che, pur avendo “centri decisionali” localizzati in prevalenza al sud, per effetto della mobilità delle risorse della criminalità organizzata e della concentrazione del mercato al dettaglio per questi beni e servizi nelle aree più ricche del paese, trovano una diffusione più intensa nelle province del centro-nord».

Ielo.Ritengo che l’azione della magistratura inquirente e giudicante non possa che essere contestualizzata nell’ambito dello scenario italiano, con le sue luci e ombre. Infatti, di fronte a uno sforzo spesso improbo della magistratura e delle forze di polizia nellazione di contrasto al crimine, non mi sfugge che il risultato finale non corrisponde certamente alle aspettative. In altri termini, il nostro ordinamento normativo non aiuta quanti si pongono sulla strada impervia del contrasto alla criminalità economica e della prevenzione del riciclaggio. Debbo, infatti, constatare - e parlo per esperienza maturata sul campo - che la “pletoricità” degli apparati normativi e burocratici esistenti in Italia sembra nei fatti dare vita a un gioco di rimpallo di competenze e responsabilità, di cui certo non può beneficiare la fluidità dell’iter giudiziario dell’azione penaleintrapresa. Un capitolo a parte meriterebbe la trattazione del tema della prescrizione, la cui normativa sembra congegnata per impedire il perseguimento con successo della lotta alla criminalità. Una sua revisione sarebbe veramente auspicabile.

D. In questo campo così delicato, c’è anche un aspetto etico che non può certo essere trascurato.

Leuzzi. Quando si parla di corruzione è necessario premettere la distinzione tra l’uomo peccatore e l’uomo corrotto. Peccatore è l’uomo che riconosce di aver sbagliato. Il corrotto è colui che non ha coscienza del male che sta compiendo. In passato questa distinzione non era necessaria, perché la speranza che anche l’uomo corrotto potesse riscoprire l’immoralità dei suoi atti era condivisa e possibile. Nella società industriale non solo questa speranza va dilatandosi, fino, in alcuni casi a scomparire. Ma, soprattutto, il comportamento corrotto è, purtroppo, parte integrale di quella fede ideologica o religiosa che costruisce la società. Infatti, non solo diminuisce il numero degli uomini che hanno coscienza di essere peccatori, ma cresce il numero di coloro che sono “normalmente” corrotti e per di più convinti di essere costruttori della società, anzi della “nuova società”.Di qui la quasi impossibilità di liberare l’uomo dalla corruzione con la proposta di progetti formativi. Non è vero che sono assenti le proposte: pensiamo alle attività formative della Chiesa Cattolica e di altre proposte religiose. Ma tutte sono impotenti di fronte all’attuale situazione socio-culturale, che richiede un nuovo intervento formativo. Infatti la corruzione attuale non è legata al “cuore umano”, cioè a quella tendenza propria della condizione umana che facilmente tende al male piuttosto che al bene, sia personale che comunitario. La corruzione odierna è espressione, prevalentemente, delle prassi anti-realistiche che animano la società. Il primato è nella prassi e non più nella soggettività dell’uomo. Certo l’uomo può impegnarsi in scelte coraggiose, fino al martirio, per vincere in se stesso tali spinte corruttive; ma è impossibile eliminare la corruzione dalla società. Occorre ben altro. E precisamente è necessario porre in atto una prassi storica realistica che aiuti l’uomo a “credere” che è possibile costruire una società nella quale prevale il bene personale e comunitario, realizzando quel desiderio interiore dell’uomo a essere protagonista della storia e non semplice “oggetto” della prassi che lo divora e lo annulla nella storia. Questa drammatica, ma nello stesso tempo affascinante, situazione si manifesta in tutta la sua verità nel mondo economico finanziario, dove l’antirealismo non solo è di casa, ma è attualmente pervasivo in tutti gli operatori del sistema. Questo antirealismo si manifesta nel primato della realtà economica sulla società. La realtà economica (da non confondersi con la legge economica) è una forza bruta, selvaggia, che ha bisogno di un’anima che la domini e la trasformi in corpo. In altri termini: la realtà economica, realisticamente è corpo e non anima della società. Chi afferma il contrario non conosce la realtà storica; presume di conoscerla, ma si sbaglia. Quanto più cresce l’idea che la realtà economica è anima della società, tanto più cresce la corruzione. È insignificante l’affermazione secondo la quale ci sono esperienze in cui formalmente viene rispettata la legge: la corruzione resta e si sviluppa nel silenzio della formalità etica. In continuità con la Lettera enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI, Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, non solo descrive la situazione socio-culturale del nostro tempo, ma indica la strada da perseguire: «Una riforma finanziaria che ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici, che esorto ad affrontare questa sfida con determinazione e con lungimiranza, senza ignorare, naturalmente, la specificità di ogni contesto. Il denaro deve servire e non governare». E ancora: «Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano (EG n. 58)».

D. Come mettere in pratica queste indicazioni nel mondo dell’economia e della finanza?

Barbagallo. La cultura della legalità, lo scrupoloso rispetto delle regole e in particolare una corretta applicazione della normativa antiriciclaggio mirano a proteggere il sistema degli intermediari (e l’economia nel suo complesso) dal coinvolgimento in attività illecite. Si realizza così una forte sinergia e convergenza di obiettivi tra la lotta al crimine e la funzione di vigilanza bancaria e finanziaria, diretta alla sana e prudente gestione degli intermediari e alla stabilità e al buon funzionamento del sistema. Ciò spiega l’attenzione e la rilevanza che la Banca d’Italia attribuisce alla correttezza e all’integrità delle gestioni aziendali e al rispetto delle regole. Fin dalla loro nascita, gli intermediari sono oggetto di controlli preliminari per verificare la qualità degli azionisti e degli esponenti aziendali di vertice. Nel rapporto con la clientela, sono chiamati a comportarsi in modo appropriato e corretto. A differenza dei rischi di natura tecnica, che possono essere ridotti o coperti con supplementi di capitale, quelli di legalità possono solo essere ridotti, tendenzialmente a zero; non ci può essere un livello accettabile di illegalità da fronteggiare con una copertura patrimoniale. Questa serve solo come presidio del rischio residuo non comprimibile. Di qui l’essenziale rilevanza delle norme e dei presidi che favoriscono la compliance. Sul fronte del regolamento, dallo scorso luglio sono entrate in vigore nuove disposizioni di vigilanza sui sistemi di controllo interno che, oltre a richiedere alle banche di rafforzare i presidi di primo, secondo e terzo livello, definiscono il quadro dei principi e delle regole di riferimento per le disposizioni settoriali. Tra queste, il presidio specialistico in materia di antiriciclaggio.

D. Oltre ai controlli, occorre anche un cambiamento di scenario, che metta l’essere umano, e non il denaro, al centro...

Leuzzi. Garantire e promuovere la centralità dell’essere umano significa ribaltare il rapporto economia-società, in modo che davvero il denaro non governi, ma serva la costruzione della società. Utopia? Per alcuni, sì. Per molti, è una speranza. Bisogna crederci e iniziare insieme un lungo e impegnativo lavoro di elaborazione culturale che deve partire dalla scoperta del realismo storico, lasciando alle spalle le affascinanti prospettive dell’antirealismo. La società è una realtà storica e non un processo storico economico-finanziario. Dire “realtà storica” significa che ha un’anima e un corpo. L’assenza di un’anima non può legittimare la trasformazione del corpo in anima: il problema è trovare l’anima della società. E questa è la socialità dell’organismo storico, che costruisce garantendo il primato dell’essere umano, anzi arricchendolo. Nell’ottica della lotta alla criminalità economica, la corruzione si supera solo formando i costruttori della società, che assumono nella propria esistenza la vera forma che può orientare le sue dinamiche socio-economiche. Altrimenti la corruzione correrà lungo i binari dell’efficienza, della internazionalizzazione, dell’interdipendenza, sacrificando l’uomo alle esigenze della realtà economica. Per incidere realmente sulla grave questione della corruzione bisogna superare la prospettiva della formazione etica, avviandosi verso una nuova elaborazione culturale capace di promuovere una prassi storico-realistica. È la vittoria della morte sulla vita, perché il peccato può essere perdonato, ma la corruzione conduce alla morte, prima storica e poi eterna.

D. Internazionalizzazione. Significa anche che il denaro illecito non conosce confini...

Sciacchitano. C’è una grande difficoltà incontrata nell’inseguire i patrimoni illeciti all’estero. Come è ovvio, per sviluppare qualsiasi indagine su fatti che sono stati compiuti in parte oltre confine, occorre la collaborazione del paese interessato. Soddisfare questa esigenza non solo non è facile, ma spesso alquanto difficile quando non impossibile. Quasi tutti i paesi hanno firmato e ratificato la Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale (Palermo 2000), ma non tutti l’hanno implementata nell’ordinamento interno e pochi la applicano proprio nel campo della reciproca collaborazione. Va qui subito affermato che la collaborazione giudiziaria è possibile praticamente solo nel ristretto ambito dell’Ue, con Stati Uniti e pochi altri paesi. Ma essa è del tutto inesistente con i paesi dell’Africa, del Medio ed Estremo Oriente dove però partono molti dei traffici illeciti e spesso vengono reimpiegati i capitali così ottenuti. I numerosi atti internazionali che vengono adottati per assicurare una lotta decisa alla criminalità organizzata e a tutte le sue diverse attività, restano affermazioni di principio, senza una reale e concreta possibilità di applicazione. Né gli organismi internazionali che li decidono hanno alcuna possibilità di verificare la loro pratica attuazione da parte dei paesi membri. Se questa è la situazione, quando si tratta di ottenere l’arresto di criminali, è ancora più difficile ottenere il sequestro e la confisca di beni all’estero sulla base di provvedimenti giudiziari italiani. In questi casi mancano nei paesi, anche Ue, le norme necessarie per dar seguito a questi provvedimenti. Certamente il problema, almeno in campo europeo, è stato posto. Ci sono decisioni quadro che invitano gli stati membri all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in questa materia, e c’è la proposta di direttiva europea maturata in un contesto economico in cui la crisi finanziaria genera vantaggi alla criminalità organizzata. Ma anche questi documenti non hanno avuto finora una generale attuazione. La Direzione nazionale antimafia svolge una costante attività verso le autorità giudiziarie estere per sensibilizzarle a questa materia e ottenere il loro intervento presso le autorità politiche, per realizzare lo spazio giuridico e giudiziario europeo che deve essere l’obiettivo principale dell’Unione.

Siclari. Una stima approssimativa del Gafi (Gruppo di azione finanziaria internazionale) indica che il costo del riciclaggio di denaro e dei gravi crimini connessi si aggira intorno a una percentuale dai 2 ai 5 punti del Pil mondiale. La lotta alla criminalità economica acquista rilievo centrale nell’operato delle autorità nazionali e sovranazionali. In ambito europeo, il programma generale sulla sicurezza e la tutela delle libertà (Isec) mira a garantire un elevato livello di sicurezza ai cittadini mediante la prevenzione e la lotta contro la criminalità. Le nuove raccomandazioni del Gafi si muovono lungo direttrici improntate a severità e concretezza: più trasparenza, per rendere più difficile a criminali e terroristi celare la propria identità o occultare i propri beni schermandosi dietro persone giuridiche o attraverso altri espedienti; requisiti più severi nel caso di persone politicamente esposte (cosiddetti Pep); un ampliamento dell’ambito armonizzato dei “reati presupposto” di riciclaggio di denaro ed estensione agli illeciti fiscali; il rafforzamento dellapproccio basato sul rischio (risk-based approach) che consenta ai vari paesi e al settore privato di utilizzare le proprie risorse in maniera più efficiente, concentrandosi sulle aree di maggior rischio; una cooperazione internazionale più efficace, che comprenda scambio di informazioni tra le autorità competenti, svolgimento di azioni investigative congiunte, adempimento a obblighi di tracciabilità, congelamento e confisca di beni illegali; adozione di migliori strumenti operativi; una più vasta gamma di tecniche e poteri per indagare e perseguire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Solo un cenno, infine, alle implicazioni istituzionali, legate all’avvio del Sistema unico di vigilanza europeo (Ssm), costituito dalla Bce e dalle autorità di vigilanza dei paesi dell’Eurozona.

Ielo. Torno alla “pletoricità” degli apparati normativi e burocratici esistenti in Italia, che di fatto concretizzano un sistema di produzione normativa multilivello. Con quali risultati? Credo che la risposta sia sotto gli occhi di tutti, anche dei non addetti ai lavori. Da un lato fare impresa in Italia in modo sano è sempre più difficile e costoso per l’enorme giungla di norme, regolamenti e relativi adempimenti. Con la conseguenza di scoraggiare anche chi dall’estero fosse interessato a investire nel nostro paese. Poi la complessità di questo apparato favorisce la mala pianta della criminalità economica nelle sue manifestazioni imprenditoriali, rendendo difficile, se non impossibile, l’applicazione di norme concepite teoricamente a tutela dell’attività economica condotta secondo le regole e in modo onesto. Occorre, quindi, uscire dall’impasse, orientandosi decisamente verso un diritto penale dell’economia basato su un numero limitato di norme certe e concretamente applicabili. Penso che da questa opera di disboscamento e semplificazione ne trarrebbero vantaggio tutti e sicuramente quella parte del paese che ancora crede nei valori etici di giustizia e onestà posti alla base di qualsiasi convivenza civile e sociali.

Clemente. Nonostante i notevoli progressi conseguiti nel sistema antiriciclaggio degli ultimi anni, rimangono alcune carenze. La collaborazione tra le diverse categorie di segnalanti presenta, infatti, livelli disomogenei: in particolare, mentre il sistema bancario dimostra di aver maturato la consapevolezza che il contrasto del riciclaggio è prima di tutto un presidio dei rischi aziendali, per altre categorie di soggetti obbligati alla segnalazione, la collaborazione assume ancora carattere sporadico ed è spesso di qualità non adeguata. La crescente attenzione verso i rischi connessi a fenomeni di riciclaggio deve infatti essere supportata da un costante miglioramento della collaborazione attiva. Anche da parte degli operatori non finanziari e, in particolare, dei professionisti, che possono garantire un contributo informativo fondamentale nel rendere la prevenzione e il contrasto del riciclaggio sempre più efficaci. La scarsa collaborazione dei professionisti e di alcune categorie di operatori non finanziari può e deve essere contrastata anche trovando opportuni incentivi, specie in termini di tutela della riservatezza, e adeguando dei canali di comunicazione.

D. Parliamo un po’ della funzione antiriciclaggio...

Condò. L’elemento centrale dell’architettura di questi adempimenti è dato dalla “adeguata verifica”, vista come momento in cui si acquisiscono le informazioni. Che serviranno ad alimentare l’archivio unico informatico, ma anche a valutare la coerenza dell’operatività rispetto alle caratteristiche del cliente, per poi rilevare eventuali anomalie suscettibili di segnalazioni all’Uif. E passo a un altro tema. Dare seguito agli adempimenti di normativa e regolamentazione sul contrasto alla criminalità economica, e in particolar modo all’antiriciclaggio, è sicuramente un’attività costosa, ma che va valutata sulla scorta del parametro di riferimento della sicurezza aziendale. Si tratta di spese che possono essere considerate come investimenti, che riducono il rischio di oneri futuri per sanzioni e danni di immagine.

D. Su quali fronti l’industria bancaria è impegnata per il ripristino di condizioni di normalità?

Sabatini. Iniziando dalla lotta all’evasione fiscale, ricorderò la molteplicità di segnalazioni all’Agenzia delle entrate su dati e informazioni relative alle attività svolte dalla clientela. Come quelle relative all’archivio dei rapporti in merito ai dati anagrafici e ai movimenti dei rapporti intrattenuti (cioè alle operazioni spot effettuate extra-conto); le segnalazioni dei movimenti da e verso l’estero (monitoraggio fiscale), delle operazioni di pagamento presso esercizi commerciali con carte di debito e credito effettuate dalla clientela (spesometro), e quelle, nel modello 770), di varie informazioni relative alla produzione di redditi per cui c’è obbligo di dichiarazione. A ciò va aggiunto l’insieme delle segnalazioni che rientrano nello scambio automatico di informazioni globale (avviato con il Fatca americano) e che si sta consolidando a livello internazionale per volontà del G20. Passando poi, al contrasto alla criminalità organizzata, il dialogo tra intermediari, pubblica amministrazione e organi inquirenti si svolge in modo più efficiente grazie all’infrastruttura del Consorzio Cbi. Quanto alla prevenzione e al contrasto della criminalità predatoria ricordo il protocollo d’intesa Abi-dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno con istituzione dell’osservatorio sulla sicurezza fisica e i protocolli d’intesa Abi-banche-prefetture (anche in questo caso con un ruolo attivo svolto da Ossif).

Infine, sui versanti della prevenzione dei crimini informatici, delle frodi con carte e nel credito, un cenno va fatto rispettivamente al protocollo d’intesa Abi-ministero dell’Interno (collaborazione Abi Lab-polizia postale) e alle collaborazioni del Mef con Consorzio bancomat (con sistematico scambio di informazioni) e con l’Abi (per l’avvio di un sistema pubblico di prevenzione delle frodi, con specifico riferimento al furto di identità).

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