Economia

Disoccupati, recessione e tasse: il non governo di Napolitano ci è già costato un punto di pil

L'immobilismo di Bersani, l'incapacità di Napolitano e l'inutilità dei saggi hanno peggiorato la situazione. Il Paese ha bisogno di un governo solido che paghi i debiti alle imprese, abbassi le tasse e faccia ripartire l'economia

Disoccupati, recessione e tasse: il non governo di Napolitano ci è già costato un punto di pil

"Dopo il voto siamo a più di 50 giorni di inerzia totale, è rischioso e costoso". Le parole del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi grondano tutta l'impotenza del tessuto produttivo davanti a una politica incapace di rispondere prontamente a un Paese che, da mesi, chiede un aiuto concreto per uscire dalla crisi economica e superare la recessione. L'incapacita di Giorgio Napolitano di formare un governo e l'ottusità di Pier Luigi Bersani che, per corteggiare Beppe Grillo e i Cinque Stelle, non ha voluto dialogare con il centrodestra ci sono costati grosso modo un punto di pil. Con il peggior risultato che si potesse mai immaginare: la vittoria del non governo. E, adesso, parlare di crescita è un miraggio.

Nelle orecchie abbia ancora il dolore sordo degli abitanti di Civitanova Marche che hanno pianto Romeo Dionisi e Anna Maria Sopranzi, i due coniugi anziani che si sono impiccati perché non ce riuscivano ad arrivare a fine mese, perché si vergognavano delle difficoltà economiche che li affliggevano. Il suicidio come ultima parola sulla vita che non ha più valore. Coi coniugi Sopranzi se n'è andato anche il fratello di lei, Vincenzo. Nemmeno lui ha retto e si è buttato in mare. È la tragica forografia dell'Italia del 2013, del Belpaese che ci hanno lasciato i tecnici che per tredici mesi non hanno fatto altro che alzare le tasse e stringere i cordoni della borsa. I tre di Civitanova Marche non sono gli unici che ci hanno lasciato la pelle. La crisi economica sta riempiendo i cimiteri di vittime indifese, abbandonate dallo Stato e strozzate dalla crisi e dalla pressione fiscale che, secondo l'Istat, ha recentemente raggiunto il 52%. Si lavora per versare l'erario pubblico. E quando è il pubblico a doverti i soldi, gli euro spariscono nel nulla. L'ultimo sfacelo della premiata ditta Mario Monti e Vittorio Grilli porta la firma sul pagamento dei debiti contratti dalla pubblica amministrazione con le imprese, spina dorsale del nostro Paese. Sui 120 miliardi che lo Stato deve agli imprenditori (cifra calcolata qualche mese fa dalla Cgia di Mestre), Monti ha deciso di renderne solo 40 miliardi. E non lo farà nemmeno subito: ha tempo un anno per chiudere la partita.

Mentre Bersani gigioneggia in giro organizzando incontri e consultando la chiunque per formare un governo (che poi non è stato nominato) e per eleggere il nuovo inquilino del Quirinale, il dramma si ingigantisce. Se nel 2012 in Italia sono andati in fumo la bellezza di un milione di posti di lavoro, nel 2013 la situazione non sarà certo migliore. Secondo i dati elaborati dalla Cgil, da giugno mancheranno 100 milioni di ore di cassa integrazione al mese per 500mila lavoratori. Non stanno certo meglio i pensionati. Oltre al debito commerciale, cioè ai soldi che le amministrazioni pubbliche devono alle imprese, c’è un altro debito che non emerge nei conti pubblici. Sono circa 23 miliardi di buco previdenziale della gestione degli ex lavoratori pubblici, anche questo un rosso di Stato a tutti gli effetti, magicamente scomparso dallo stock del debito pubblico ufficiale nel 2007, grazie ad una finanziaria del governo Prodi. Che ora mette in pericolo la previdenza (compresa quella privata) perché grava sui conti dell’Inps.

Secondo Squinzi, nei numeri della crisi si nasconde "tutta l’inadeguatezza di un sistema politico che strangola quelle creature che dice di amare e che dice di voler amministrare". Questi numeri, ha spiegato il numero uno di Confindustria, "sono il frutto del non governo, della mancanza di quel minimo di responsabilità da parte di tutti di sospendere le ormai più che ventennali ostilità e dare un governo al Paese in un momento così drammatico". Gli industriali non sono certo gli unici a chiedere un governo. Ma non un governo qualunque, tanto per assolversi la coscienza.

Quello di cui il Belpaese ha bisogno è un esecutivo di alto profilo che percepisca e sappia interpretare il momento drammatico del Paese e non certo un'agenda economica stilata da dieci saggi che, a parte una sfilza di ovvietà, non sono riusciti a tirare fuori.

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