Economia

Ecco perchè la Fed non vuole il Grexit

«Una soluzione è nell'interesse di tutti». Il messaggio, forte e chiaro, è arrivato ieri sera dalla Casa Bianca a poche ore di distanza dal vertice Eurogruppo. Segnala un intensificarsi del pressing americano su tutti i protagonisti impegnati nella crisi greca. Il timore è che una rottura totale, seguita dall'insolvenza di Atene, crei ripercussioni sull'economia globale. Anche gli Stati Uniti ne sarebbero coinvolti. E Barack Obama rischierebbe di chiudere il secondo mandato da presidente in malo modo, consegnando ai repubblicani le chiavi della White House.

C'è poi un altro aspetto da tenere presente in caso di default greco o, peggio, di un Grexit vero e proprio: le turbolenze che ne scaturirebbero sarebbero tali da legare le mani alla Federal Reserve, che ieri ha confermato l'andamento economico meno brillante del previsto (l'espansione procede «a ritmo moderato») tagliando le stime di crescita 2015 all'1,8%-2% dal 2,3-2,7% di marzo, con una disoccupazione rimasta invece invariata rispetto all'outlook precedente al 4,9-5,1%. Con i mercati in subbuglio, infatti, sarebbe impossibile mandare in porto quell'aumento dei tassi (fermi fra 0 e 0,25% dal 2006) che 15 dei 17 membri del Fomc (il braccio operativo di politica monetaria) collocano genericamente entro la fine dell'anno. Gli analisti ritengono possibile che la prima mini-stretta (un rialzo dello 0,25%) possa essere decisa in settembre, una mossa che lascerebbe spazio per un secondo inasprimento in dicembre. A patto che le prossime indicazioni dal mercato del lavoro e dal fronte dell'inflazione, due parametri-chiave nel determinare l'evoluzione del costo del denaro, siano sufficientemente rassicuranti.

Atene rischia dunque di far naufragare quel progetto di normalizzazione della politica monetaria attraverso il quale la numero uno della Fed, Janet Yellen, vorrebbe testimoniare l'uscita dalla politica emergenziale introdotta a partire dalla crisi dei mutui subprime e dal crac di Lehman Brothers.

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